Scuola

Maturità, ti amo

L'esame è una palestra per tutti, studenti e prof. Comunque uno scoglio da superare. Qualche consiglio ai giovani: date maggiore importanza alle idee

Stanno per iniziare gli esami di maturità che impegneranno migliaia di persone tra studenti, professori, segretari, bidelli. Chi scrive ha partecipato a una trentina di queste manifestazioni scolastiche in vari ruoli: candidato, presidente, membro interno, membro esterno, via via in diversi licei italiani. È solo uno dei tanti agoni della vita, è vero, ma è comunque sentito come uno dei più importanti. Ora forse più che mai. È l’unica prova di iniziazione rimasta ai nostri adolescenti. La ricorderanno a lungo, ricorrerà nei loro sogni, come ritorna nei nostri. Rimane, se non più uno scoglio, comunque una pietra miliare anche oggi, quando non è selettiva come una volta, se ne consolino i tanti giovani che si apprestano ad affrontarla pur sempre con qualche apprensione. Si tratta di un esame di cultura generale, un sapere meno tecnicistico di quello accumulato via via durante i cinque anni di scuola superiore.

Una cultura più vicina alla sapienza (sofìa, femminile, genere che vale a sottolineare il suo carattere vitale) che ai particolarismi delle varie materie (tò sofón, il sapere neutro, infecondo). Amiamo il bello con semplicità e amiamo la sapienza senza mollezza, afferma il Pericle di Tucidide. Allude a una conoscenza più generalmente umanistica che specialistica. Socrate la chiamava antrhopìne sofìa, sapienza umana appunto. Ebbene l’interrogazione dell’esame di Stato non è un’inquisizione ma un colloquio culturale. I ragazzi preparano delle tesine scegliendo un argomento di loro gusto: su questo raccolgono del materiale che alla fine conosceranno non meno bene degli esaminatori i quali li ascolteranno e faranno qualche domanda.

Ci sarà, c’è sempre stato, uno scambio di idee e conoscenze tra docenti delle varie materie e pure tra docenti e discenti. La terza prova dovrebbe evitare i quiz e lasciare spazio aperto a risposte significative di competenze, ossia di conoscenze organizzate logicamente e magari anche retoricamente, o addirittura esteticamente. La prima prova di italiano consente una possibilità di scelta così ampia che ogni attitudine e talento può trovare il suo spazio. Noi esaminatori non dobbiamo dimenticare che i talenti sono vari e che vanno incoraggiati tutti. Più problematico sarà lo scritto di greco per quelli del liceo classico. Il commissario di questa materia dovrebbe leggere il brano in maniera espressiva, dopo averlo decodificato mentalmente beninteso, quindi farebbe bene a contestualizzarlo nell’opera dell’autore e nel periodo storico. Questo esame deve essere una palestra e una prova di cultura per tutti i componenti. I giovani diano maggiore importanza alle idee, rispetto ai fatterelli e mostrino la capacità di individuare i tanti nessi intercorrenti tra le opere e tra i loro autori.

Musil scrisse, in maniera riduttiva e giocando al ribasso, ma non del tutto a torto, che le grandi figure del mondo artistico sono legate l’una all’altra da una “catena di plagi”. Si tenga presente inoltre che questo esame è una recita tenuta davanti a un piccolo gruppo di insegnanti che a loro volta si esibiscono cercando di fare bella figura agli occhi dei colleghi e, perché no, degli studenti e delle studentesse. Conoscere gli argomenti è il fondamento solido di un buon esame: tieni in pugno la materia, le parole ne conseguiranno, diceva Catone il Vecchio. Ma non è tutto. Importante è anche il modo di porgere, la chiarezza dell’eloquio, la cortesia delle parole, degli atti, dei gesti. Non è bene, per esempio, parlare in fretta, magari mangiandosi le sillabe e accentuando la pronuncia locale quando si risponde al commissario che viene da un’altra regione. È male replicare in fretta e furia, o parlare in continuazione, togliendo spazio alle domande del docente, oppure rispondere in maniera non congrua, pur di non rimanere in silenzio. Fa migliore figura il ragazzo che dichiara semplicemente di non conoscere un argomento e chiede il favore di un’altra domanda.

Da il Fatto Quotidiano del 12 giugno