Peccato che ci si dimentichi di dire che, tra i maiali che si stanno ingrossando a dismisura ci siano anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove – non dimentichiamocelo – la crisi finanziaria è partita. Negli Usa la percentuale del debito pubblico sul PIL sta per superare il 90%, come durante la II guerra mondiale (in Italia però – non dimentichiamoci neanche questo – è al 118%).
Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, ha dichiarato recentemente a Bloomberg che i titoli di stato (treasury bonds), con i quali gli Stati Uniti finanziano il loro esorbitante debito pubblico, saranno presto “poco graditi” nei mercati dei capitali, “perché il governo federale non ha un piano realistico per tagliare la spesa e ridurre il debito”. “Per gli USA sarà una spiacevole sorpresa, perché nessuno si aspetta una reazione negativa dei mercati nel brevissimo periodo”.
La crisi del debito è sistemica e coinvolge buona parte dei paesi occidentali, non solo i “PIGS“. Porterà presto, come ha osservato Mohamed El Erian, direttore di Pimco (il più grande investitore mondiale in titoli di stato), a una ridefinizione del rapporto tra paesi “avanzati” e paesi “emergenti”, perché, grazie alla crescita e ai surplus di bilancio, un numero sempre maggiore di paesi emergenti (Cina, India, Brasile) avrà prospettive più rosee rispetto ai paesi cosiddetti “avanzati”, ancorati a terra da un debito pesantissimo.
Per “perdere peso” i paesi occidentali non avranno scelta: dovranno aumentare le tasse e tagliare drasticamente la spesa pubblica, sperando che nel frattempo l’economia cresca. In una situazione del genere puntare il dito sui P.I.G.S., come stanno facendo gli investitori anglosassoni in questi giorni, è come sparare sulla croce rossa. A farne le spese, come sempre, sono i cittadini che pagano le tasse: dopo aver salvato le banche, si sono accorti da tempo di avere i maiali in casa. Anche se tutti cercano di convincerli che sono solo teneri orsetti di pelouche.