Se le tasse universitarie nel Regno Unito vanno su, ci rimettono anche gli studenti italiani. Croce e delizia del mondo globale, iscriversi ad un corso di laurea a Torino oppure Nottingham, non fa poi troppa differenza. O almeno, non l’ha fatta fino ad oggi. Con un tetto di circa 2500 euro alle tasse universitarie per gli undergraduates di tutta l’Unione europea, gli studi in Gran Bretagna, nonostante l’alto costo della vita a Londra, erano diventati un’opzione comunque possibile per chi era spinto dalla voglia e dalla curiosità di andare fuori di casa. In fondo la spesa per la retta non era diversa da quella da sborsare per un ateneo del centro-nord Italia, e un lavoretto per pagare l’affitto della stanza senza chiedere troppi soldi a casa poteva fare il resto. “Per questo – spiega Massimo – romano che studia alla London School of Economics, molti italiani sono venuti in Gran Bretagna in numero crescente negli ultimi anni. Erano attratti da due elementi. Da un lato la qualità dell’offerta, dall’altro il prezzo non eccessivo”.

Won’t pay, can’t pay. Adesso però la crisi minaccia anche qui. Quando allo University College di Londra si tiene il direttivo della National Campaign against Fee and Cuts (campagna nazionale contro le tasse e i tagli) le parole d’ordine non sono diverse da quelle che ci si aspetterebbe altrove. Un gruppo di quasi trenta ragazzi, prevalentemente undergraduate, provenienti da varie università inglesi, si siede in circolo e comincia ordinatamente a discutere, con tanto di minutaggio e senza sovrapposizione delle voci. Se non fosse per l’ordine, sembrerebbe di essere in assemblea a via Zamboni a Bologna. Joana e Michael illustrano la piattaforma per l’istruzione libera e gratuita per tutti. Matthew ricorda come a Middelsex i docenti di filosofia, dipartimento che rischia di chiudere, hanno inscenato una manifestazione che ne ha provocato l’allontanamento. Le scienze umane soffrono molto, ma tutto il sistema bene non sta. I conservatori peggiorano la situazione? “Le politiche neoliberiste penalizzavano l’istruzione già con il Labour. Però Cameron può andarci giù più pesante, la gente in fondo se lo aspetta”. Il loro slogan di battaglia è won’t pay, can’t pay (traduzione ormai proverbiale dalla commedia scritta da Dario Fo nel 1974 Non si paga! Non si paga!). I ragazzi in assemblea raccontano storie dagli atenei di Westminster, King’s di Londra o Brighton, parlano di personale non docente che si vede aumentare i turni di lavoro a parità di salario, ricordano come i posti di entrata per gli studenti vengono tagliati di 10.000 unità.

Ritorno al miraggio. La situazione è delicata in tutti i settori finanziati da denaro pubblico. Il deficit statale di proporzioni “greche” (oltre il 12%) che affligge i conti del Regno Unito, porta il governo a una dolorosa e impopolare finanziaria di emergenza, i cui dettagli vengono svelati il 22 giugno dal ministro dell’economia George Osborne. Se è vero che il Labour preparava risparmi e tagli per circa 50 miliardi di sterline, la coalizione di governo composta da Conservatori e Lib Dem farà di più (ovvero peggio) con 84 miliardi. Cifre da capogiro, che toccano non secondariamente i capitoli dell’istruzione nel suo complesso, e dell’università. In anni di grande crescita economica, i governi laburisti (1997-2010) avevano potuto distribuire la ricchezza prodotta e finanziare il settore accademico, imponendo un tetto per le tasse universitarie in modo da rendere l’accesso possibile anche per la classi meno abbienti. Ora che il tetto salta, perché il governo lascia mano libera agli atenei, alcune università potrebbero decuplicare la retta in proporzione al loro prestigio, altre università, al contrario, boccheggiare per sopravvivere, in quanto a corto di fondi governativi e con pochi disposti a pagare rette più alte. Così l’accesso a Cambridge a Oxford tornerà ad essere quello che era stato per lungo tempo: un miraggio per ricchi.

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