Questo è il mio primo post per il mio primo blog. L’idea di avere uno spazio dove scrivere d’impulso quello che mi passa per le dita mi attira. Oggi voglio parlare della differenza tra il giornalismo investigativo (che a me piace) e quello giudiziario passivo (che a me non piace). Lo spunto mi viene dalle cronache dedicate al versante vaticano della cricca. Paginate intere per dire tre cose sull’ex ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi e sul cardinale Crescenzio Sepe, già capo di Propaganda Fide. I fatti nuovi sarebbero:
1) che la Procura di Perugia dice che il palazzetto di via dei Prefetti è stato comprato a 3 milioni di euro e dunque sotto costo da Lunardi;
2) che la Procura di Perugia dice che la villa di Basilicanova, vicino a Parma di Lunardi, è stata ristrutturata da Anemone;
3) che la Procura di Perugia ha scoperto che la società Arcus, sulla quale ha un controllo il ministero delle infrastrutture, ai tempi in cui era diretto da Lunardi ha concesso 2,5 milioni di euro a Propaganda Fide, nello stesso periodo in cui Lunardi faceva affari privati con la medesima Curia.
Ebbene, le tre notizie suddette, (omettendo la prima frase “che la procura di Perugia”) erano già uscite.Le prime due erano uscite mesi fa su Il Fatto Quotidiano che le aveva scoperte con un lavoro investigativo autonomo basato su visure catastali e camerali, la terza era stata rivelata dalle Iene di Mediaset e approfondita da Presa Diretta, della RAI. Quando questi fatti furono scoperti dai giornalisti investigativi però i giornaloni che fanno opinione li ignorarono.
Ora che la Procura di Perugia giustamente accende il faro su queste tre storie edite e le collega in una trama di corruzione, la stampa improvvisamente se ne interessa, raccontandole come nuove. Per i giornalisti ormai non esistono i fatti se non ottengono il timbro del pm e non diventano prima reati. E invece i fatti sono fatti a prescindere dalla valutazione giuridica, spesso sballata che ne danno i magistrati, e devono essere trovati dai giornalisti, poi valutati dagli stessi e infine raccontati ai lettori. A prescindere dalla valutazione penale di una Procura.
Quando Calisto Tanzi nel 2004 disse cose importanti su Silvio Berlusconi, Giuliano Ferrara, Ciriaco De Mita, Renzo Lusetti, Gianni Alemanno, Enrico La Loggia e altri personaggi illustri, quasi tutta la stampa ignorò il versante politico dello scandalo Parmalat, con l’eccezione di Libero, allora diretto da Vittorio Feltri, che infatti aumentò la sua tiratura e dell’Espresso. Per Micromega, allora con il collega Peter Gomez, intervistai i direttori dei tg per chiedere conto e ragione della censura. Tutti risposero che non avevano dato spazio a quei verbali perché non c’erano reati. Secondo i pm di Parma e Milano.
Perché i giornalisti abdicano sempre più spesso alla loro funzione a favore delle procure? Trovare da soli i fatti e valutarli autonomamente è molto più difficile e rischioso di ripararsi sotto i verbali delle procure. Scovare il palazzo di Lunardi con i suoi 42 vani pagati 3 milioni senza una procura che ti passi le carte, scoprire i lavori di ristrutturazione di Anemone nella villa di Parma prima ancora dei pm di Perugia, costa fatica, tempo e soldi. E magari, se non trovi una procura coraggiosa come quella di Perugia, anche una querela.
Il giornalismo investigativo (che magari si serve anche degli atti giudiziari ma come base e non come punto di arrivo) è più rischioso di quello “giudiziario passivo“. Però si ha la soddisfazione di decidere da soli qual è Il Fatto Quotidiano. Senza aspettare che lo decida un pm.