L'Unione Europea è alla ricerca di soluzioni per prevenire disastri ambientali
come quello della BP nel Golfo del Messico
Mentre gli Stati Uniti cercano di tappare la falla nel pozzo petrolifero scoppiato a 1500 metri di profondità, l’Unione europea sta provando a scongiurare l’eventualità di un “11 settembre dell’ambiente” anche in acque europee.
Occhi puntati soprattutto sul Mare del Nord, dove operano un numero imprecisato di piattaforme petrolifere, alcune funzionanti con tecnologie vecchie più di vent’anni.
Da Londra lancia l’allarme l’associazione internazionale “Platform” che parla di potenziali rischi sia nel Mare del Nord, sia nel Mediterraneo. Secondo gli esperti dell’organizzazione londinese, Bruxelles sta facendo troppo poco per prevenire simili disastri. Dal canto suo, la Commissione europea ha da poco lanciato una concertazione con le maggiori compagnie petrolifere e di estrazione gas comunitarie: British Petrolium (BP), Chevron, Eni, ExxonMobil, Nexen, Repsol, Shell, Statoil, Total, ConocoPhilips e Apache. L’obiettivo è fare il punto sulla situazione dell’industria estrattiva individuandone i potenziali fattori di rischio: alle compagnie sono state fatte domande sulle misure di sicurezza previste, sull’assunzione di responsabilità in caso di incidente e sulla cooperazione con le autorità di controllo europee. Inoltre, dalla Direzione generale Energia della Commissione, fanno sapere che è stata avviata una revisione della normativa europea in materia, ma ancora non se ne conoscono i dettagli.
Critico il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo che parla di pecche e falle nel sistema preventivo comunitario. Come riferisce il belga Bart Staes, “l’attuale legislazione europea copre le petroliere e non le piattaforme petrolifere”, su cui, aggiunge la collega francese Michèle Rivasi, “è estremamente difficile ricevere informazioni precise”.
Con questa iniziativa la Commissione europea sta cercando di ottenere maggiori informazioni dalle compagnie, barcamenandosi tra gli interessi nazionali che ne supportano le attività. Ad esempio, come riferisce la Rivasi, l’Irlanda ha da poco richiesto il permesso di estrarre petrolio a 3000 metri sotto il livello del mare, una profondità doppia rispetto a quella dell’incidente nel Golfo del Messico.
E di incidenti l’Europa se ne intende. Solo nel 2009 nel Mare del Nord se ne sono verificati trentuno, per fortuna di piccole e medie dimensioni.
Restano scolpiti nella memoria i casi delle petroliere Erika (1999) e Prestige (2002), affondate la prima nello stretto della Manica e la seconda di fronte alle coste spagnole, che hanno liberato in mare tonnellate di petrolio.
Al momento in Europa il monitoraggio e la gestione di eventuali incidenti sono affidati all’Agenzia Europea di Sicurezza Marina (EMSA) e alla Protezione Civile Europea.
La Protezione Civile Europea è già intervenuta in aiuto alle autorità americane per il contenimento della marea nera, fornendo materiale di recupero e speciali attrezzature di fattura europea.
Il 23 Giugno è in programma al Parlamento europeo una tavola rotonda tra istituzioni, compagnie petrolifere e associazioni ambientaliste per fare il punto della situazione e, per quanto possibile, evitare un disastro ambientale come quello del Golfo del Messico.