Cosa sta avvenendo nelle città e nei territori? Sono venti anni che le regole urbanistiche e la tutela del paesaggio sono sottoposte ad un attacco forsennato teso a cancellarle o a renderle innocue. Con accordo pressoché unanime (con l’eccezione dei Verdi) si smantellano l’urbanistica e i piani paesistici. Padroni a casa nostra, la terribile parola d’ordine della maggioranza di governo, trionfa.

Questa offensiva è stata sostenuta da un pressione mediatica senza uguali: l’Italia è ferma perché ci sono troppi vincoli, hanno strillato per anni i grandi organi di stampa. Non era vero. A settembre dello scorso anno l’Istat ha certificato che dal 1995 a oggi erano state costruite circa tre milioni di alloggi, quantità che non corrisponde affatto alle dinamiche demografiche. L’Italia cresce poco, come noto, e se abbiamo raggiunto 60 milioni di residenti è per il contributo del mondo dell’immigrazione.

Non erano dunque i vincoli ad ostacolare il “mercato”. Il problema vero è che abbiamo uno stock abitativo che supera la domanda: c’è una evidente crisi di sovraproduzione che può essere governata solo con intelligenti misure pubbliche. In Spagna, ad esempio, dove la crisi del settore immobiliare è stata, a differenza dell’Italia, dirompente, il governo Zapatero ha finanziato l’acquisto di alloggi invenduti da parte delle amministrazioni pubbliche a valori accettabili proprio in conseguenza della crisi del mercato immobiliare. Questa mossa ha rappresentato un sostegno agli investitori privati, ma ha contemporaneamente permesso di avere un rilevante numero di alloggi da destinare alle famiglie più povere.

In Europa, insomma, le pubbliche amministrazioni dettano ancora le regole del gioco. Siamo l’unico paese in cui si crede ancora che l’unica ricetta sia quella di affidarsi al “mercato”. Viviamo una crisi economica mondiale provocata proprio dall’allentamento dei vincoli e dei controlli e mentre tutti i paesi del mondo, Stati Uniti per primi, ragionano su come reintrodurre regole, da noi continuiamo a smantellarle.

Questa filosofia è bene espressa dal  ministro per l’Economia Tremonti che,  intervistato dal Corriere della Sera il 31 maggio 2010, afferma: “Per la produttività, oltre ad altro, come per esempio la fiscalità di vantaggio per gli insediamenti produttivi nel Sud, ci sono le zone a “burocrazia zero”, dove tutto quel che va fatto per aprire o per far funzionare un’impresa o un laboratorio dipende esclusivamente da un commissario di governo, con il beneficio del silenzio-assenso. Quella della “burocrazia” è la questione fondamentale.

Vede, i paesi poveri soffrono per un deficit di cibo, di mezzi di sussistenza, di mezzi per lo sviluppo. I paesi ricchi, al contrario, soffrono per l’eccesso delle regole che si sono autofabbricati e da cui sono condannati. Le regole giuste sono un investimento; le regole eccessive sono prima un blocco e poi un costo. Nel Medioevo tutta l’economia era bloccata da dazi e pedaggi d’ingresso e d’uscita, alle porte delle città, nei porti, sui valichi: in Europa pensano che “accisa” sia una parola inglese, “excise”, invece è una parola che viene dal Medioevo e significa “incidere”; se portavi un tronco appunto te lo incidevano, se portavi un sacco di grano ne prelevavano un tanto, se portavi un salame te lo tagliavano.

Come il Medioevo era bloccato e fu superato d’un colpo dall’illuminismo giuridico che poi prese forma nella semplicità dei grandi codici borghesi, base dello sviluppo industriale, così il territorio attuale è popolato da un’infinità di totem giuridici o “democratici”, per cui un consiglio di quartiere blocca un Comune, un Comune blocca una Provincia, una Provincia blocca una Regione, una Regione blocca lo Stato e i Verdi o i ricorsi al Tar bloccano tutto”.

L’articolo 43 della manovre finanziaria ha per titolo “Zone a burocrazia zero”. Vi si afferma che nel meridione d’Italia verranno istituite zone in cui ogni attività di sviluppo economico dovrà essere autorizzata nel tempo massimo di trenta giorni. Le regole sono d’impaccio per gli investimenti dei capitali delle grandi organizzazioni criminali. E’ noto che ogni anno il  loro volume d’affari supera i centomila miliardi di euro, cinque volte la manovra finanziaria in corso. Ed  è altrettanto noto che con l’ultima operazione scudo fiscale voluta dal Governo sono rientrati in Italia novantamila miliardi di euro, molti dei quali, per unanime ammissione, di provenienza illecita. Tutte le indagini della Magistratura, infine, affermano da tempo che le mafie investono in tutte le regioni nel mattone: centri commerciali, uffici, villaggi turistici.

Le “zone a burocrazia zero” sono dunque un allettante invito rivolto a questi capitali per riciclare comodamente i proventi illeciti. Solo trenta giorni e potete cementificare l’ultimo lembo di costa calabrese rimasta integra in barba a qualsiasi regola urbanistica o vincolo paesaggistico. In quattro settimane potete costruire un centro commerciale in aperta campagna, su terreni pagati pochi euro. Lo smantellamento delle regole urbanistiche va di pari passo con il trionfo dell’economia criminale. E nessuna forza politica di opposizione sembra accorgersi del baratro in cui stiamo precipitando.

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