La giornata è di quelle che non si possono certo dimenticare. È il 15 ottobre, ma siamo a Reggio Calabria e qui il sole non è avaro. È un giorno di festa, nella splendida cornice di Villa Fenice, sul lungomare di Gallico, si celebrano le nozze d’oro dei coniugi Barbieri. I figli Vincenzo e Domenico hanno voluto fare le cose in grande. Ora sono imprenditori affermati, fanno i danari con gli appalti pubblici, costruiscono appartamenti e interi villaggi turistici, possono entrare a pieno titolo nei salotti buoni e invitare la Reggio che conta. E a Reggio due sono le cose contano: la ‘ndrangheta e la politica.
La confessione
Fermo immagine. Domenico Barbieri, detto Mimmo, dal 23 giugno è in carcere, è una delle 44 persone coinvolte nell’operazione “Meta” della Procura antimafia di Reggio Calabria. Mafiosi, figli di boss della ‘ndrangheta, imprenditori e colletti bianchi che hanno favorito la latitanza ventennale e gli affari di Pasquale Condello a Reggio. Qui, dopo l’ultima grande guerra di mafia (anni Novanta, 600 morti) le famiglie si sono ricomposte, i morti vanno dimenticati, chi sta in galera all’ergastolo si deve rassegnare. “Amico mio, dovete guardare al futuro ma senza dimenticare il passato”, scrive ad un picciotto Pasquale Condello, ‘o supremo, il superboss catturato nel 2008. Perché ora contano tre cose: la politica, gli affari e i nuovi assetti mafiosi. Domenico Barbieri ha salito tutti i gradini, è “l’imprenditore di riferimento della ‘ndrangheta”, scrivono i carabinieri del Ros nel voluminoso rapporto che ha dato origine all’operazione “Meta” della dda reggina. Così racconta la sua ascesa: “Sono andato dritto perché ho capito il sistema come funziona. Ho accettato… di far parte degli amici… mi presentavo in un posto e mi presentavo come compare Mimmo! Ecco! Così”.
“Ci sono proprio tutti”
Quel giorno, 15 ottobre 2006, decide di festeggiare alla grande i suoi genitori. Ci devono essere tutti al ricevimento. C’è il potere, con Giuseppe Scopelliti, il politico che in quel momento va per la maggiore a Reggio. È il sindaco della città, pupillo di Fini e di Gasparri, quattro anni dopo sarebbe diventato il governatore di tutta la Calabria sbaragliando il centrosinistra. Arriva alla festa in compagnia di Manlio Luigi Flesca, un suo fedelissimo eletto in consiglio comunale. Sono le 13,45 quando i carabinieri del Ros, appostati nei pressi del ristorante dove gli ospiti banchetteranno, annotano la presenza della Lancia K con lampeggiante intestata alla Questura di Roma e usata dal sindaco. Che si trattiene poco più di un’ora, alle 14,45 va via, perché alla 17,45 inizia la partita Reggina-Roma e il primo cittadino non può mancare. “Al matrimonio c’erano proprio tutti – racconta il giorno dopo Cosimo Alvaro – il sindaco, Gesuele Vilasi (assessore comunale di Forza Italia, ndr) e quelli della Margherita e dell’Udeur”. Cosimo Alvaro, figlio del mammasantissima di Sinopoli Domenico, da ieri è latitante. Alta politica e alta mafia, il “sistema Reggio”. Che i carabinieri delineano con una punta di tristezza nel loro rapporto. “La presenza di esponenti politici, nonché di personaggi appartenenti ad agguerrite associazioni mafiose, non lasciava alcun dubbio sulla centralità di Barbieri nelle dinamiche criminali e politiche della città di Reggio Calabria”.
Le grandi famiglie, una volta in lotta, si sono ricomposte, la guerra tra gli uomini di Pasquale Condello, gli Imerti, i De Stefano, i Rosmini, i Libri e i Tegano, insomma, i “casati” di ‘ndrangheta che negli anni Novanta si sono combattuti a colpi di bazooka e autobomba è un ricordo lontano. A mettere la pace fu proprio il capostipite degli Alvaro, il vecchio patriarca Domenico, che nel 1992 da Sinopoli scese a Reggio per parlare chiaro ai compari. Ora tutto deve filare liscio.
La triade
La città dello Stretto è governata da una vera e propria “triade”: Giuseppe De Stefano ha il grado di “capo crimine” e non ci devono essere dubbi sulla “centralità di Pasquale Libri (l’erede di don Mico, ndr) nell’ambito del controllo degli appalti pubblici”. “Stanno dando i lavori solo dove vogliono… dove… per non fare niente… fino a che tenevano, tenevano il discorso equilibrato, dice una tu, una tu; no qua il discorso è focalizzato”. Franco Labate, un imprenditore vicino al “sistema”, si lamenta con Mimmo Barbieri di come la politica lo sta trattando. C’è una ditta che sta facendo man bassa. “Vuoi sapere come ha fatto a entrare?”, gli replica Barbieri, “con il fratello del sindaco, i soldi se li sta prendendo lui, quello che si è riempito la mazzetta, la pila se l’è presa lui”. Labate, a questo punto capisce. “Quello che sta prendendo i soldi è suo fratello… vanno e trovano a suo fratello… ed è finita là… il Sindaco è messo da parte, non c’entra niente, quello che raccoglie i soldi è suo fratello… direttamente!.. si è levato pure a Rocco… Rocco se si fa qualche porcheria per i fatti suoi, ma altrimenti… ”.
Le tessere della Libertà
La ‘ndrangheta ha da sempre una particolare predilezione per la politica. L’11 novembre del 2006, Cosimo Alvaro riceve a casa sua Michele Marcianò, all’epoca come oggi consigliere comunale del Pdl a Reggio. Parlano di tessere di Forza Italia e di politica. “Prima viene il rispetto e poi la politica con me”, dice ai suoi. Vanno così le cose a Reggio, il regno della ‘ndrangheta. Il figlio del grande boss e il politico progettano “Circoli della Libertà”. Per i soldi non c’è problema, assicura il consigliere Marcianò: “Quando venite al comune, quando volete venire al comune salite sopra a Palazzo San Giorgio… avete un computer, avete due segretarie, avete, li mandate dove volete, autorizzo io per quanto riguarda voi si devono mettersi a disposizione ah!!… e incominciamo il lavoro… ragazzi dobbiamo iniziare il lavoro”.