Domenica 20 giungo 2010 il papa Benedetto XVI ha ordinato quattordici nuovi preti della diocesi di Roma. Ha compiuto cioè un atto proprio del vescovo, perché il papa è papa perché vescovo di Roma.
Fin qui tutto regolare e fa piacere che il papa svolga il suo proprio ministero, dando la precedenza al pastore sul diplomatico e sul monarca di un regno temporale per quanto piccolo. Nello stesso giorno emergeva in tutta la sua devastazione il «caso Sepe», cardinale di Napoli, ma all’epoca dei fatti contestati, segretario per l’attuazione del Giubileo del 2000 e, per i meriti acquisti sul campo, nominato cardinale e prefetto di Propaganda Fide da Giovanni Paolo II.
Nella sua veste di segretario del «Comitato Vaticano per il Giubileo» e di cardinale prefetto di Propaganda Fide si è trovato a gestire non solo un patrimonio enorme che dovrebbe servire per sostenere i missionari sparsi nel mondo, ma anche un altro patrimonio considerevole, questa volta dello Stato italiano per le grandi opere del Giubileo.
Per questo frangeste egli era il referente del Vaticano per lo Stato italiano e partecipava e decideva gli interventi e la spartizione del «malloppo» messo a disposizione dallo Stato. Strano Paese il nostro: dentro i confini nazionali vi né uno Stato estero che è il Vaticano che intrattiene relazioni diplomatiche secondo protocollo, ma quando si tratta di «palanche», avviene un fatto inspiegabile: il Vaticano (Stato estero) decide e lo Stato italiano paga. C’è qualche passaggio che mi sfugge.
Nella sua difesa pubblica il cardinale Sepe fa appello alla croce di Cristo, al venerdì di passione a cui segue il giorno della risurrezione e aggiunge che la persecuzione è la sorte di chi segue Cristo e il vangelo. Siamo alle solite: non capisco cosa c’entri affittare gratis un appartamento a Bertolaso o regalare un palazzo a Lunardi, o farsi ristrutturare Propaganda Fide dallo Stato italiano o sfrattare la povera gente per imbarcare i ricchi abbienti o dare e ricevere tangenti direttamente o per interposta persona … cosa c’entra tutto questo con Cristo, con il Vangelo, con la persecuzione. Gesù dice: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11).
Io non vedo né Cristo, né Vangelo, né zelo pastorale, ma solo una «cricca» che fa affari e in questa maleodorante cloaca sono coinvolti cardinali, monsignori, cerimonieri papali, religiosi, che sono responsabili «in solido» e figli della Geènna perché corrotti e corruttori.
Angelo Balducci fu nominato «nobiluomo di Sua Santità» nel 1995 dal segretario di Stato Angelo Sodano, fascista in combutta con Pinochet, assassino di Allende. L’annuario pontificio recita che il titolo viene conferito «a persone che si distinguono per prestigio personale e che hanno acquisito particolari benemerenze verso la Santa Sede». Oggi sappiamo quali siano stati il prestigio e le benemerenze. Nel 2001 quando Sepe divenne cardinale e prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, uno dei dicasteri più potenti e ricchi (anche in termini di proprietà immobiliari) di tutta la Curia, Balducci fu nominato consultore, cioè uno degli esperti esterni a cui il Vaticano si rivolge su singole materie. Sepe non ne sa nulla? Anche lui come Scajola: «All’insaputa»!
Stando così le cose, il cardinale Sepe e tutti gli eretici monsignorili, si dimenticano a cuor leggero il comandamento numero due: «Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano» (Es 20,7). Tirare in ballo Cristo e Vangelo e passione e risurrezione in un traffico di lestofanti ladri e corrotti, vestiti da funzionari dello Stato o travestiti da vescovi e cardinali è proprio fuori luogo. Sig. cardinale, lei che è figlio della sua carriera pagana, ci risparmi la predica e prima di parlare di cose serie faccia i gargarismi con l’acqua benedetta.
E’ in questo contesto che il papa, durante l’ordinazione si rivolge ai preti novelli con queste parole che è necessario riportare nella loro interezza: «Il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica.
Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi.
Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio – ricordiamolo sempre – si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, “immersi” in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero» (L’Osservatore Romano, 21-22 giugno 2010, edizione on line).
Parole sacrosante, se dette in un altro contesto e con ben altro afflato perché «qui e ora» risultano false e fuori luogo: stridono e suonano false per questi semplici motivi che sfuggono al papa:
Mentre il papa le pronuncia è vestito come un faraone in tutto lo splendore di cappelli e ornamenti, pallii e coppole rosse che lo circondano; vescovi e monsignori hanno abiti costosissimi e anelli e croci dorati che danno sfoggio di mondanità peccaminosa. Il minimo che possano fare quei quattordici martiri distesi sul tappeto prezioso, mentre si cantano le litanie dei Santi, è pensare: «Anch’io un giorno potrei essere come questi e se sto attento a come non parlo, a cosa non dico, a come mi vendo e, specialmente a chi mi vendo, potrei fare carriera».
Sono indotti in tentazione e in peccato lo stesso giorno dell’ordinazione sacerdotale perché si prospetta loro una struttura di peccato come cornice della loro vanagloria ecclesiastica.
- Chi forma i sacerdoti che cercano la carriera e il successo personale e la riuscita negli affari del mondo e gli intrallazzi con i potenti? Il papa quale esempio dà a questi neofiti, quando, come se niente fosse, incontra festoso e giubilante il corrotto e corruttore e frequentatore di minorenni, Silvio Berlusconi, esclamando davanti alle telecamere «che piacere rivederla!» (26 settembre 2009). Beh! se il papa ha piacere a rivedere un simile obbrobrio, noi non abbiamo alcun piacere a vedere il papa e non possiamo riconoscerlo come soggetto di etica della verità.
- Il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, è notoriamente uomo effimero di bassa moralità perché gonfio e tronfio di se stesso, amante come nessun altro di carriere ecclesiastiche e di mondanità. Chi lo ha nominato? Non certamente io! E’ sicuro il papa che le nomine che fa sono tutte consone con lo spirito di servizio e con la capacità di testimonianza di chi è chiamato a ricoprire ruoli delicati. Non è il papa il primo a fare figli e figliastri, mettendo da parte anzi condannando gli spiriti liberi e promuovendo gli omuncoli travestiti da preti che si venderebbero anche l’anima che non hanno pur di fare carriera?
- Nei seminari come mai nessuno si accorge se uno persegue la carriera o lo spirito di servizio e del «servi inutiles»? Ci vuole una laurea particolare per esercitare il discernimento? Perché nei seminari si prendono «oves et boves» indiscriminatamente e non si fa una selezione sulle motivazioni. Il papa vuole che gli faccia nomi e cognomi di preti ordinati per carrierismo?
- Chi nomina i protonotari apostolici, i prelati di anticamera, i maestri delle cerimonie, i prelati d’onore di sua santità, i cappellani di sua santità, i prelati domestici e i camerieri segreti soprannumerari, i gentiluomini di sua santità, gli addetti di anticamera, gli assistenti al soglio, ecc. ecc.? Non li nomina il papa? Come può parlare che il carrierismo è la negazione del sacerdozio se il papa lo alimenta e lo consacra come status essenziale?
- Se il papa vuole che il sacerdozio sia veramente un servizio, e vuole che i preti non siano tentati, faccia l’«unum necessarium»: abolisca con un colpo solo, titoli, onorificenze e palandrane e obblighi i cardinali e i vescovi e i preti a vestire poveramente e a non mettere quegli osceni gemelli d’oro che brillano ai polsini delle camicie, fatti apposta per essere esposti ad ogni movimento delle mani. Dia l’esempio e noi lo seguiremo, ma se il papa parla tanto per parlare, allora è meglio che stia zitto perché fa più bella figura.
Quando non era ancora toccato dal carrierismo, nel 1960, prima ancora del concilio il giovane teologo Joseph Ratzinger scriveva: «La nostra realizzazione cristiana effettiva non sembra essere la maggior parte delle volte assai più simile al culto delle alte cariche dei giudei stigmatizzato da Gesù che non all’immagine da lui disegnata della comunità cristiana fraterna? Non soltanto il titolo di ‘padre’ viene limitato in Matteo 23, 8-11 (Non fatevi chiamare rabbi, padre, guide), bensì tutta la forma esteriore (ribadiamolo: esteriore) del gerarchismo, così come essa si è strutturata nei secoli dovrà in continuazione lasciarsi giudicare da questo testo» (J. Ratzinger La fraternità cristiana, Queriniana 2005, p. 74)
Al Sinodo dei vescovi del 2001, il 5 ottobre il vescovo ecuadoregno Corral Mantilla disse: «La povertà evangelica chiede che rinunciamo ai titoli di monsignore, eccellenza, eminenza e che ci facciamo chiamare semplicemente “padri”», ma parlò al deserto, coperto da monsignori, eccellenze ed eminenze, cappelli rossi, viola e paonazzi … un deserto di mondanità e di vanità che stride con il vangelo e anche con il buon gusto di qualsiasi estetica.
Dagli anni ’60 sono passati cinquant’anni e dal 2001 solo nove: Ratzinger ha fatto carriera fino al vertice della piramide faraonica: se era convinto di quello che scriveva e se ne è convinto ancora adesso, cosa aspetta a porvi rimedio. Non è un monarca assoluto che può fare quello che gli pare? Dimostri che qualche volta i monarchi sanno anche essere sapientemente seri.