Che cosa hanno in comune il comunismo, le rotatorie e i carrelli al supermercato? Niente. A parte il fatto che tutte e tre le cose sono perfette rappresentazioni del soccombere della ragione di fronte all’istinto predatorio dell’uomo e della conseguente intrinseca tendenza al fallimento del genere umano (hai detto niente).

Partiamo dalla prima. Parlare del comunismo è al tempo stesso molto facile e altrettanto difficile. Senza entrare in spigolose argomentazioni di natura ideologica (la parte difficile, me ne guardo bene) appare evidente ai più che nella sua realizzazione pratica il socialismo reale ha drammaticamente fallito (anche la sua scomparsa è un fallimento ma questo è decisamente un altro discorso). In che cosa ha fallito? Prima o poi – per dirla con Orwell – qualcuno, metti caso i maiali, si stufa di essere uguale agli altri. E la frittata è fatta. Insomma, il comunismo è decisamente contro natura. Tant’è che gli uomini si adattano e sguazzano con molto più piacere nel capitalismo che per sua natura è competitivo e ingiusto.

Pur nella sua chiarezza, tuttavia, devo dire che questa argomentazione non mi ha mai convinto (almeno nell’ottimismo della volontà) fino a che non ho visto che cosa succede nelle città quando un semaforo viene sostituito da una rotonda. Ci avete mai fatto caso? I semafori sono una coercizione: gli automobilisti non devono scegliere, non devono agire né interpretare, devono solamente rispondere ad uno stimolo. Quando arrivano le rotonde gli ingorghi si moltiplicano, aumentano gli incidenti, le macchine si intrufolano da tutte le parti e si perde ogni logica. Perché, mi chiedo?

Perché – molto semplicemente – la necessità di coordinarsi con gli altri è uno sforzo. Siamo esseri sociali solo nella misura in cui prevarichiamo. Del resto non è un caso che la psicologia della comunicazione articoli tutti rapporti interpersonali sulla divisione tra posizioni up (prevaricatore) e down (prevaricato). Sulla base di questo principio, a voler fare i sofisticati, si articolano tanto il successo della Lega (riduzione del numero di inclusi per ridurre le divergenze) che l’insuccesso del Pd (allargare la base significa moltiplicare le incognite). E così ovviamente anche il Pdl, dove la sbandierata libertà è, per analogia, quella di passare sul marciapiede quando la strada è occupata (si chiama legittimo impedimento) e dove c’è comunque e sempre un capo supremo.

Ma non è quello che facciamo tutti, tutti i giorni? Quando parcheggiamo a caso, rubiamo il posto ai disabili, costruiamo case che non reggono un terremoto per fregare qualche metro quadrato? Non siamo forse prevaricatori quando non paghiamo il biglietto del bus ma pretendiamo cure da pascià? Quando infine andiamo a fare la spesa e conduciamo il nostro carrello allo stesso modo della nostra auto?

Pur riducendo la complessità sociale al minimo (il carrello al supermercato appunto) il nostro sistema di relazioni non cambia. È un continuo urtarsi, spintonarsi, passarsi sopra per arrivare primi a qualcosa (vedi mai dovessero finire i Mon Cheri, sai che scazzi…).

Berlusconi e il suo governo sanno questa cosa, ce l’hanno insegnata per anni, e ora ne approfittano, complice il fatto che nemmeno più la nostra indignazione regge al logorio della condivisione (il popolo viola in Piemonte si è già scisso tre volte, lo sapevate?) e si sfalda in rivoli singolarmente insignificanti.

Come uscirne? Un sistema è – vedi il semaforo – legato alla coercizione. Ma a meno di non diventare tutti vigili o di non instaurare uno stato di polizia, presenta da un lato il problema dell’evasione dalla regola e dall’altro quello di non essere una soluzione particolarmente democratica.

Posto che questo non mi sta bene (non CI va bene, immagino) che fare allora?

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