In qualsiasi Paese decente, il governo oggi sarebbe dimissionario. Ministri indagati, ministri senza missione, sottosegretari che spendono e spandono a vuoto, misure economiche che bastonano i lavoratori e lasciano intatti i mega patrimoni.
E il premier? Se ne sta nascosto in un bunker paranormativo nel quale penetrano comunque le micidiali bordate di Gian Franco Fini, co-fondatore del suo stesso partito, nonché le legnate del cosiddetto alleato di governo, il fido Umberto Bossi. Saggiamente, Berlusconi ormai esce dal buco solo per i sorrisi ai fotografi e le dichiarazioni da latin lover. Poi, di nuovo in trincea a rinforzare il fortino coi soldati Bondi, Gelmini e affini.
In questo quadro, l’opposizione è più che mai superflua. Infatti il giovane di bottega Pd, Enrico Letta, fa il sexy annunciando: “Elezioni anticipate? Noi siamo qui, prontissimi“. Quasi caldi. In realtà, le elezioni anticipate sono quanto di meno probabile si possa immagine oggi nella rutilante sceneggiatura della politica pre-estiva. Riassumo qui di seguito quel che in genere si dice per suffragare l’amara tesi: temo sia un panorama realistico.
1) Questi non molleranno mai.
Berlusconi e compagnia hanno già dimostrato in passato di saper spremere fino in fondo il potere conquistato tramite democratiche elezioni. Fino all’ultima poltrona, appesi al decreto in extremis, i tre compari di sventura Silvio, Umberto e Gianfranco andranno ognuno per la propria strada nel tentativo impossibile di fregarsi l’un l’altro intascando il massimo. A rimetterci dovrà essere per forza qualcuno: l’interesse pubblico e il privato cittadino.
2) Per il Pd è troppo presto.
Sondaggi alla mano, i fedeli sono sempre i soliti e anche i tanti delusi del berlusconismo non passeranno mai a Bersani (tanto meno a Vendola). Certo ributtandosi un po’ a Sel, pardon – a sinistra, qualcosina si potrebbe recuperare tra giovani e ambientalisti, ma non abbastanza. E comunque il voto più arrabbiato finisce già nel bottino amico dell’Idv. Quanto al tentativo amoroso col centrista Pier Ferdinando Casini, le recenti elezioni regionali hanno già dimostrato che l’unione è innaturale. Aggiungiamoci un astensionismo sempre più erosivo tra ceto medio-alto e compagni della base assai rattristati, ed ecco che il flop dell’alternativa è servito.
3) E il governo di emergenza?
Ma ce li vedete Fini, Casini, Bersani, Di Pietro e Bossi in scena all together per la salvezza nazionale, magari col compromesso di sistemare al Quirinale Berlusconi (o un alter ego tipo Gianni Letta)? Perché è chiaro che il grande capo non s’accontenterebbe di meno per mollare la leadership. Anche questa visione – già apocalittica di per sé – risulta impraticabile. Il popolo/Parlamento italiano unito nella lotta contro B.? Non esiste.
Insomma, niente da fare, i conti non tornano per nessuno e quindi tutti staranno fermi al proprio posto. L’unica certezza è che a vincere è sempre e comunque la Lega Nord. Con B. o contro B., il nocciolone del voto padano vale tutto sul piatto nazionale. L’Idv non riesce a fare lo stesso, perché gli manca una base omogenea di voto e resta ancorato a un’area di protesta piuttosto instabile: troppo poco per essere determinante.
Eppure anche Bossi, solo soletto, non va da nessuna parte. Per questo prende sotto braccio Tremonti e lo trascina sulla via del federalismo. Un altro pezzo di strada si farà dunque così, in Italia, nel bene e nel male. Molte idee leghiste sono rispettabilissime: efficienza dello Stato, lotta alla corruzione, attenzione al territorio, dialogo più diretto tra amministrati e amministratori. Poi però c’è il razzismo, la xenofobia, il delirio sui riti celtici e un atteggiamento fuori tempo massimo su questioni etiche fondamentali (vedi Ru486).
Quindi, forza e coraggio. L’estate sarà calda e rognosa. Il 2013 una chimera lontana, il voto anticipato pure. Ma l’Italia non è forse il Paese dei miracoli?