È quasi luglio. La distribuzione prosegue. Le sale restano aperte. I cinema non vanno in ferie. Ma un “bilancio” della stagione 2009-2010 si può fare. Un anno buono, con pochissimi picchi. I tre imperdibili sono Up, commovente creazione della Pixar, Inglorious basterds dell’immenso Quentin Tarantino e, sopra tutti, quel capolavoro bislacco che è A serious man dei fratelli Coen. Da alcuni anni al massimo della forma.
Per il resto, da spettatore, si trovano in giro buoni prodotti e tanta stanchezza. L’impressione è, spesso, di vedere film che si assomigliano tutti. Difficile – e anche stupido – aspettarsi sempre qualcosa di inedito o sorprendente. E forse ci eravamo abituati troppo bene. Un festival di Cannes come quello del 2008, per dire, bastava da solo per un’annata superlativa. Il divo di Paolo Sorrentino, Valzer con Bashir di Ari Folman e Tony Manero del cileno Pablo Larrain sono un’infilata di perle rare (ma rare sul serio).
E poi, ovviamente, l’allora Palma d’Oro di Cantet, La classe e Gomorra di Matteo Garrone. Ci sono momenti alti, che definiscono coordinate nuove, momenti di libertà visivi e narrativi e ci sono momenti di stasi. La vera verità è che la stagione che va languendo (stancamente) sia stata molto molto media. O per meglio dire: stanno tutti bene. Tutti fanno bei film. Tutti fanno bene i compiti. Troppo?
Cosa si può dire di Life during wartime se non che è un ottimo lavoro? E di An education? Si può parlar male dell’iraniano Donne senza uomini? Ma uno spettro di noia serpeggia insidiosa. Non è tempo per i classici (Eastwood a parte) e non è tempo per gli enfants terribles. Quelli di una volta si incanutiscono (anche molto bene, come Polanski) o sono silenti da anni (Lynch: e poi, che film potrà mai fare dopo Inland Empire?). Smalto e grinta sono mancati. Tanto che vien voglia di vedere qualcosa di completamente diverso. Anche se riuscito “male”.
Un titolo per tutti: My son, my son, what have ye done? di Werner Herzog e prodotto, appunto, da Lynch. Che però non è uscito in sala. Poteva essere un capolavoro, non lo è. Ma è un film in cui la psiche del personaggio è totalmente cancellata, non esistono eventi ma solo fenomeni. Il che lo rende così freddo e alieno da essere interessante. Ecco, la parola che manca, in questa annata distributiva, è proprio questa: “interessante”.
Tutto è molto ben fatto. Tutto corrisponde alle attese, anche quando sono sgradevoli (per esempio, The road da McCarthy). Ma volete mettere con la scena (una delle più belle del decennio) di Giulio Andreotti/Toni Servillo che, assieme alla moglie/Anna Buonaiuto guarda la televisione e ascolta la canzone di Renato Zero, I migliori anni della nostra vita?
Volete mettere l’impasto tra ironia, intimità domestica, Storia che rende struggente e vorticosa quella scena de Il divo? Avete visto qualcosa di paragonabile, quest’anno? Per quanto mi riguarda, solo l’arrivo dell’uragano di A serious man con i Jefferson Airplane che scoppiano con fragore. Ma se avete visto qualcosa che vi ha scaldato il cuore, i neuroni, l’immaginazione, segnalatemelo.