E’ vero, mi ero ripromessa di non farlo e invece al secondo post mi ritrovo a parlare in qualche modo di me. Ve ne spiego il motivo, spero mi perdonerete. Ho approfittato dei quattro giorni di riposo che mi sono concessa (pochini, in realtà, se guardo alla stanchezza accumulata quest’anno) per “tornare a casa”, nella mia amata terra di Puglia. Ormai ogni volta è per me un evento. Quando sono andata via da Bari, nel lontano 1994, sono letteralmente fuggita da una città provinciale, commerciale, arida di spunti culturali e ricca quasi soltanto di malavita.
Non c’era futuro, per noi ragazzi nipoti del Sessantotto. Soprattutto per chi, come me, voleva studiare Lettere classiche per fare l’archeologa. Decisi di scappare, approfittando di un trasferimento della mia famiglia. Molti miei amici di allora decisero invece di scommettere sul rinnovamento di una città e di una classe politica. Oggi mi tocca dare ragione a loro. Bari nel 2010 è una città incredibile. Basta passeggiare per le squadrate e ortogonali vie del centro per capirlo.
E’ un luogo in cui si respira cultura, prima di tutto. Le immagini sbiadite dei cinema e dei teatri chiusi sono solo nella mia mente: ovunque è un pullulare di festival, rassegne, spettacoli, appuntamenti. E ovunque trovi gente in fila per entrare. I più anziani sono i nostri genitori (forse i nostri zii), i più giovani sono i nostri figli. I tre fili d’erba tra cui, bambini, giocavamo (tra siringhe e feci) sono diventati giardini curati, aiuole colorate, passeggi ombreggiati tra le vie dello shopping barese. Le facciate dei palazzi, allora eternamente chiuse per restauro, sono oggi ripulite e ben tenute, restituite (molte) all’eleganza liberty delle origini.
Il lungomare è un trionfo di luci e di colori, tra l’odore forte del pesce appena pescato (e spesso consumato crudo insieme a una birra ghiacciata) e gli spruzzi di salsedine in una giornata dal forte maestrale. Bari vecchia, o “borgo antico” come lo chiama la Bari-bene, ti accoglie nel suo grembo all’imbrunire: lo spritz è arrivato fin qui, ma accompagnato dalle olive in salamoia in piazza del Ferrarese con i vecchi amici , ha il sapore di un ricordo che stringe lo stomaco.
Poi la Muraglia e il suo fermento, le strette vie in cui i motorini si fanno largo tra la folla, con a bordo tanti piccoli Cassano senza casco: un tempo ti tenevi stretta la borsa, oggi ascolti con commozione quel dialetto quasi incomprensibile per i baresi di Carrassi. Bari è un’altra città, perché i baresi hanno creduto al cambiamento. Michele Emiliano prima, Nichi Vendola poi, sono i volti di questo cambiamento. I volti di due uomini che tanti anni fa hanno fatto una scommessa enorme e che oggi possono raccogliere i frutti di quelle scelte coraggiose. Le scelte e soprattutto il coraggio che, invece, mancano a tutto il resto della classe politica italiana.