Assolto perché il fatto non sussiste. Dopo il 1992, il senatore Marcello Dell’Utri non è colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Il collegio di appello, a differenza del Tribunale in primo grado, boccia la tesi del sostegno a Cosa Nostra anche nella seconda fase della sua vita, quella seguente alla discesa in campo di Berlusconi.
Resta il dato che il fondatore di Forza Italia è stato un complice esterno di Cosa Nostra. Ma solo fino al 1992. L’organizzazione criminale nota in tutto il mondo per la sua capacità di penetrare la politica avrebbe mollato il suo garante nel mondo berlusconiano proprio quando il Cavaliere arrivava a guidare l’Italia. La formula scelta dalla Corte per sanare la fase politica di Dell’Utri è la più ampia possibile: se non fosse stato condannato per i fatti antecedenti al 1992, non potrebbe fare appello perché non può aspirare a nulla di meglio.
La motivazione della sentenza arriverà nei prossimi mesi e sarà davvero interessante leggere come faranno i giudici a trovare argomentazioni granitiche per ribaltare i fatti e le interpretazioni della sentenza di primo grado.
La Corte ha ritenuto non provate le accuse di Gaspare Spatuzza sulla trattativa tra i boss Graviano e il duo Berlusconi-Dell’Utri nella fase delle stragi del 1993. Ma non è necessariamente una bocciatura del collaboratore. Come dice l’ex procuratore antimafia Pier Luigi Vigna, “i giudici potrebbero ritenere attendibile Spatuzza quando riferisce le confidenze del boss Graviano al bar Doney ma non è automaticamente provato che Graviano dicesse la verità al suo picciotto”. A prescindere dalle accuse di Spatuzza (emerse solo in appello) restano tre fatti riportati nella condanna di primo grado: i rapporti con i fratelli Graviano nel 1994; gli incontri con Vittorio Mangano nel 1993 e il supporto elettorale dei mafiosi vicini al boss Provenzano nel 1999.
Il procuratore generale del processo di appello, Nino Gatto, ha puntato molto sui rapporti diretti e indiretti tra Dell’Utri e i fratelli Graviano, ritenuti provati dalla sentenza di primo grado. I boss del quartiere Brancaccio (che avevano ordinato le stragi di via D’Amelio nel 1992 e quelle di Firenze e Milano nel 1993 più gli attentati di Roma contro Maurizio Costanzo e le basiliche) non vengono arrestati a Palermo ma a Milano. Il 27 gennaio del 1994, il giorno dopo la discesa in campo del Cavaliere, li ammanettano nel ristorante Gigi il cacciatore con Giuseppe D’Agostino e suo cognato Salvatore Spadaro, che poi collaboreranno con la giustizia. D’Agostino è a Milano perché il figlio Gaetano, che allora aveva undici anni e oggi è un affermato calciatore dell’Udinese, deve fare un provino al Milan. D’Agostino senior e il cognato ai carabinieri raccontano che la famiglia Graviano si era offerta di aiutare il piccolo campione a entrare nel Milan. Non solo. I Graviano avevano promesso al papà un lavoro a Milano, in un centro commerciale del gruppo Fininvest. Quando i giudici sentono l’allenatore dei giovani rossoneri, Francesco Zagatti, arriva la sorpresa: a raccomandare il giovane D’Agostino era stato Dell’Utri in persona. Il senatore però nega ogni contatto con chiunque avesse a che fare con questa storia. Perché? Secondo i giudici di primo grado e secondo il procuratore Gatto, Dell’Utri non può raccontare quella raccomandazione perché confesserebbe i suoi rapporti con i Graviano.
Anche il ruolo di Vittorio Mangano, che certamente è uno dei pilastri della condanna fino al 1992, non si esaurisce certo dopo quella data. Il fattore di Arcore che ieri è stato definito nuovamente “eroe” per il suo silenzio dal senatore Dell’Utri, ricompare dopo tanti anni a Milano proprio quando il manager della Fininvest sta organizzando la discesa in campo del suo principale. Sulle agende sequestrate in un’altra indagine alla segretaria di Dell’Utri, si trova traccia di annotazioni in vista di due incontri con Mangano nel novembre del 1993. Il senatore ammette di avere visto l’ex fattore a Milano ogni tanto ma solo perché il mafioso, che allora guidava la famiglia di Porta Nuova e che era già stato condannato in via definitiva per estorsione e associazione a delinquere, voleva parlargli di problemi di salute. Le agende di Dell’Utri sono considerate dai giudici di primo grado riscontri formidabili alle parole di Salvatore Cucuzza.
Il boss pentito racconterà che Vittorio Mangano era stato graziato da Totò Riina e Leoluca Bagarella proprio per il suo rapporto con il gruppo Berlusconi. Nonostante fosse stato un fedelissimo del capo dei perdenti, Stefano Bontate, Bagarella aveva revocato la sua condanna a morte solo perché poteva essere utile sul versante politico. Quando era uscito dal carcere lo avevano addirittura promosso a capo della famiglia di Porta Nuova insieme a Cucuzza, perché Bagarella puntava su di lui per agganciare Dell’Utri e Berlusconi. Una tesi confermata anche da Giovanni Brusca. Sarà davvero interessante leggere come riusciranno i giudici ad annullare la portata delle parole di Cucuzza. Il pentito, ritenuto molto attendibile, senza conoscere gli appunti delle agende di Dell’Utri, ha riferito che Mangano gli confidò di avere incontrato Dell’Utri a Milano un paio di volte proprio alla fine del 1993. A suo dire il fondatore della nascente Forza Italia aveva promesso a Mangano che “si sarebbe attivato per presentare proposte molto favorevoli a Cosa Nostra sul fronte della giustizia”. Passano sei anni e una cimice intercetta Carmelo Amato, uno dei postini di Provenzano, alla vigilia delle elezioni europee. Amato dice: “dobbiamo portare a Dell’Utri se no lo fottono” e poi aggiunge: “io non gli darei il voto ma c’è un impegno”. Per la Corte di appello comunque “il fatto non sussiste”. Sarà interessante ora capire perché.