L’avevamo anticipato in ottobre (“L’uomo del gas”, 23 ottobre 2009) ma ora i tempi sono maturi. Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa a Mosca e “ambasciatore” delle imprese italiane in Russia, è uscito la settimana scorsa con il suo primo romanzo: Prospettiva Lenin (Feltrinelli), firmato con lo pseudonimo Anton Antonov. Un libro che parla di spie, di guerra fredda, di rapporti tra Italia e Russia. I protagonisti sono Salvatore e Ivan, che in realtà sono la stessa persona. Salvatore è un siciliano “colto e intraprendente” che abbandona la sua amata isola per trasferirsi a Mosca, dove lo aspetta un “lavoro di prestigio per un’importantissima azienda”. Poi a un certo punto cambia tutto. Salvatore lascia il suo prestigioso incarico e diventa Ivan, un “brillante agente segreto al servizio del Kgb” chiamato a procurare informazioni sull’Italia. Comiso, Sigonella, gli affari del Vaticano: gli uomini del Cremlino vogliono capire e Ivan è perfetto come mediatore culturale. Poi con il disfacimento dell’Unione Sovietica il protagonista del libro cade in disgrazia e finisce malamente in uno “squallido condominio moscovita”.
A parte la fine triste, si possono riconoscere molti riferimenti alla vita reale di Antonio Fallico. Nato a Bronte, in provincia di Catania, nel 1945, Fallico si diploma al liceo classico Capizzi, in cui studia anche il suo amico d’infanzia Marcello Dell’Utri. Dopo la laurea in filologia, sale in cattedra all’Università di Verona, dove un giorno lo contatta un funzionario dalla Banca Cattolica del Veneto. Fallico conosce il russo e il funzionario gli chiede di fare da consulente per l’apertura di una sede della banca a Mosca. Il giovane professore nel 1974 molla la carriera accademica e si trasferisce armi e bagagli nella capitale sovietica. Nel frattempo la Banca Cattolica viene assorbita dal Banco Ambrosiano Veneto, poi incorporato nel Gruppo Intesa (oggi Intesa Sanpaolo) e il ruolo di Fallico diventa sempre più importante. Uomo di relazioni, il letterato brontese prestato alla finanza, si fa strada nei salotti moscoviti. Conosce Leonid Brezhnev e i suoi figli, Jurij Andropov, Mikhail Gorbaciov, Boris Eltsin e Vladimir Putin, già ai tempi in cui era vice sindaco di San Pietroburgo. Negli anni ottanta scoppia l’amicizia con Berlusconi. «Tra l’86 e l’88 Berlusconi, che aveva una sua casa editrice, la Silvio Berlusconi Editore, mi contattò perché interessato ad allargare le sue attività economiche anche nel mondo sovietico», spiega Fallico al periodico Bronte Notizie nel dicembre del 2008. «Così diventai consulente di Fininvest», di cui, in quel periodo, è amministratore delegato proprio Marcello Dell’Utri.
Come abbiamo scritto l’anno scorso sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, Fallico ha avuto un ruolo di primo piano nei contratti firmati da Gazprom nel 2009 con i consorzi di municipalizzate Plurigas (A2A e Iride) e Sinergie Italiane (Enia e Ascopiave) per la distribuzione diretta (senza passare dall’Eni) di gas russo in Italia. In Sinergie Italiane Fallico era entrato addirittura nel Cda, dal 4 agosto 2008 (quando la società viene costituita) all’11 marzo 2009, per facilitare la contrattazione con Gazprom. Del resto, come ha dichiarato Massimo Ciancimino, per i contratti nel mercato del gas serve “un prete”, uno che fa conoscere le persone e le porta al tavolo delle trattative. Tra il 2002 e il 2005 lo stesso Ciancimino aveva provato a trattare direttamente con Gazprom per importare gas russo in Italia. E Fallico gli aveva spiegato a quale porte bussare e soprattutto quanto fosse importante finanziare, anche con piccole cifre, una fondazione vicina a Vladimir Putin.
Il banchiere letterato di Bronte, in effetti, è un “prete” per eccellenza. Uno che da decenni conosce tutti i segreti della nomenklatura russa. E forse il prossimo romanzo potrebbe parlare proprio di questo. Dopo essere stato un dinamico manager e una spia dei sovietici, Salvatore, il protagonista, potrebbe reincarnarsi alla fine in un prete. Che mette d’accordo i russi e gli italiani, le banche, i potenti e i produttori di gas e petrolio. Padre Antonio da Bronte. O anche “don”, purché non se la prenda male.
di Marco Atella