Due esempi.
Il primo assolutamente personale: a chi mi chiede come faccio a riconoscere il pesce fresco, dico che se mi si allunga la mano “verso” significa che è fresco. Se mi si ritrae vuol dire che fresco non è. Imparare a fidarsi del proprio istinto. Sono figlio di un pescatore e al di là delle tecniche più o meno conosciute (lucentezza, il rosso vivo delle branchie ecc..) mi affido al naso, tenendo presente che il profumo di pesce fresco è ciò che poi diventerà odore di pesce marcio e prima che il profumo di fresco si sprigioni in tutta la sua potenza devono passare almeno 6/12 ore, variabili fra inverno e estate. Queste saranno ore in cui percepirete al massimo sottili profumi marini, iodio ed altro, con leggere acidità, variabili a seconda del pesce.
Vi do poi un altro parametro che contrasta con l’idea che sempre e comunque si debba cucinare pesce freschissimo: un dentice nostrale sopra il Kg e ½, ma ne ho cucinati anche di 7,9 gk, oltre ad esservi costato un occhio, a meno che non siate fortunati e bravissimi pescatori, deve riposare in un buon frigorifero almeno per 24 ore prima di essere, ad esempio, arrostito. Solo con questa accortezza, sapore e morbidezza alle stelle! Rosmarino, salvia, aglio non sbucciato, ricordatevi di rifiutare agli non italiani, perfetto il “piccolo rosa”. Un forno vivace e un mezzo limone strizzato con violenza nella teglia ben calda facendolo sfrigolare nell’untuosità che si sarà prodotta nell’alchimia dei pesciosi grassi e del buon olio che certamente dovrete usare. Se vi va di accompagnare le “carni del pesce arrosto” con una maionese (normalmente più adatta al pesce lesso), fatelo fermandovi a metà della montatura, e continuando ad amalgamarci, dopo averlo filtrato, il brunito sopra citato fondo di cottura. Non vi garantisco nessun estetismo per questa saporitissima maionese ma credetemi se vi dico che avrete creato un ponte alchemico fra il pesce e la medesima.
Per ponte alchemico intendo qualcosa che non sta sopra, in questo caso al pesce, con una sua specificità, ma qualcosa che allunga la mano a ciò che sta sotto producendo così un’alleanza, o per meglio dire una fusione, in un unico sapore indissolubile. Anche nella memoria.
Secondo esempio
Provate per gioco a girare per mercati ortofrutticoli con lo sguardo perso nel vuoto, non usando gli occhi ma il naso. Fermatevi sul primo profumo di pomodoro che riuscirete a percepire! Se vi capita ringraziate l’ortolano o il contadino con una vigorosa stretta di mano. Fatevelo amico e riempitelo di complimenti per avervi permesso di evitare quei fantasmi di pomodoro che invadono con il loro niente i nostri cibi avvelenando i nostri territori. Semi resi ibridi che si fanno belli con eccessive e perfette rotondità, anche se ormai hanno contraffatto perfino il costoluto fiorentino. Semi che senza l’apporto di una chimica violenta porterebbero gli incoscienti produttori a produrre un bel nulla. Piantagioni di pomodori che usano la terra come sostegno e non come nutrimento. È li che cominciano gli scempi ed il primo di altrettanti gravissimi sfruttamenti: mano d’opera come terra non più madre, senza nessun senso di necessaria alleanza.
(Nella foto una resta di aglio rosa coltivato nei pressi di Montespertoli)