Scontro di civiltà al carrello delle insalate, Galeries Lafayette, Parigi, 02/07/2010, h. 14 – Fuori, una calura qui abnorme, 34 gradi che diventano 37 percepiti. Dentro i grandi magazzini, punto d’incontro del turismo da shopping, un brulichio da bolgia: ci sono i saldi e c’è l’aria condizionata. A quest’ora, il brulichio diventa ressa al 6° piano, ristorante self service: gente stanca, nervosa, spaesata. Al carrello delle insalate, un cartello multilingue indica la direzione della coda: un asiatico giovane, che parla un inglese da americano, apre, vassoio alla mano, la fila, seguito da due o tre anziane signore americane e da una famiglia islamica. Nella direzione opposta, incurante del cartello, avanza un francese anziano, con la moglie, che guida un drappello autoctono ribelle. L’asiatico, con voce bassa, cortesemente, ma fermamente, fa osservare che la fila va nell’altro senso. Il francese, subito su di giri, a voce alta, bruscamente, risponde ‘Ah oui, Monsieur? Je m’en fiche d’où vient la queue” –Davvero?, me ne frego di dove va la coda-, che, tradotto non letteralmente, significa “Qui sono a casa mia e faccio quello che mi pare”. E gli italiani? Mentre lo scontro di civiltà lascia in stallo le due file, madre e figlia infilano il loro vassoio nella terra di nessuno, riempiono il piatto d’insalata e lasciano la scena con un frettoloso sorriso a destra e a manca.

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