La storia di un uomo. Quello che definisce quell’essere umano, proprio lui. Lo sviluppo delle sue parole pronunciate, taciute, dei suoi progetti realizzati o mancati, dei suoi incontri, degli spostamenti, delle soste in luoghi imprevisti, abbandonati o ritrovati per tutta la vita. Questo siamo.
Jorge Louis Borges diceva che per l’intera nostra esistenza camminiamo, prendiamo navi, aerei, ci spostiamo nella città, andiamo a trovare parenti lontani, tracciando linee dietro di noi, come fossimo seguiti da un pennino, e quel groviglio di fili intrecciati, quel geroglifico casuale e inesprimibile, visto dall’alto al termine dei nostri giorni, è l’immagine del nostro volto, il nostro ritratto. La nostra identità.
Anche questo è un motivo per smettere e cambiare. La responsabilità, il desiderio, la volontà di incidere su quel caos, di non lasciare che non ci somigli, che non ci riguardi. Che storia abbiamo, oggi? Guardando a ritroso, come ci alzassimo ora al livello delle nuvole, vedremmo il nostro viso, i lineamenti della nostra storia? E’ quella la nostra vicenda umana, giunti a metà vita? Oppure no?!
Avanziamo verso il burrone, per nulla metaforico. Ignoriamo perfino che il baratro potrebbe giungerci incontro anzitempo, paradossalmente inatteso, come inattese sono solo le certezze. Da qui ad allora c’è solo tempo, oppure quel tempo è la nostra vita? Perché indugiamo così tanto, perché consentiamo a macchine, prodotti, colleghi, di incidere così profondamente nel nostro ritratto? Subiamo la politica, subiamo il vento, subiamo convenzioni, sorrisi che costano fatica ai muscoli del viso, uomini e donne a cui urlare risposte che raschiano la gola da quanto sforzo ci costano.
Le linee del nostro destino si torcono, si arrovellano, si deformano. Cosa ci fa tanta paura da rischiare questo: osservare un uomo che non siamo mai stati, e tardi per intervenire.
Visto dall’alto, forse, quell’uomo non siamo noi. Non se, noi stessi, non lo riconosciamo. Non se, adesso, non raddrizziamo il taglio dei suoi occhi, la piega del mento, l’arco delle azioni e del cuore che l’hanno reso un estraneo.