Saramago era anche il presidente onorario della associazione “Luca Coscioni”, che si batte per il diritto di ciascuno di una scelta libera sul proprio fine-vita. In occasione della trasposizione teatrale del suo romanzo “Cecità” (“Ciechi”, con la regia di Tenerezza Fattore), regista e associazione mi hanno chiesto di ricordare il grande scrittore. Ecco il testo di questo personale ricordo, che mi piacerebbe condividere con i lettori di questo sito.

Josè Saramago, per come io l’ho conosciuto, era un uomo mosso innanzitutto da profonda passione per la vita. E perciò incapace di capire, e meno che mai di tollerare, l’ingiustizia. Quella prodotta dall’uomo, dalla sua avidità, che si aggiunge a quelle, comunque insensate, della natura, del caso.
Per lui amare la vita e combattere le ingiustizie era dunque una sola e inscindibile cosa.

La sua lezione morale la riassumerei proprio così: chi non combatte l’ingiustizia in realtà non è capace di amare la vita. Di godere la vita fino in fondo. Perché la grettezza non si concilia con la passione.
Passione profonda per la vita che solo si può avere se la si vive per quello che è, finitezza irredimibile. E’ questa finitezza che affratella, il sapere che se non si realizza giustizia nell’orizzonte finito dell’esistenza non la si realizzerà più.

La passione per la vita, il desiderio di giustizia e la capacità di godere i piaceri della vita – tre cose che per Saramago erano indisgiungibili –  nascevano dunque anche dal suo ateismo.
Un ateismo tranquillo, come lui stesso mi disse l’ultima volta che ci incontrammo. Almeno fino ad ora. Ma che ora gli sembrava dovesse lasciare posto ad un ateismo militante, talmente insopportabile era ormai per lui la pretesa di una Chiesa cattolica che, dimentica del Concilio, voleva di nuovo imporre la sua particolare morale a tutti, non credenti e diversamente credenti, su tutte le questioni cruciali della vita, dalla nascita alla morte. Pretendendo di dominare anche sui corpi, e soprattutto sui corpi delle donne, non riuscendo più a conquistare le anime.

Saramago amava profondamente l’Italia, e proprio per questo partecipava al dramma della resistibile ascesa di Silvio B. come ad una catastrofe che lo riguardasse personalmente, anche dal punto di vista esistenziale. Ecco perché ne scriveva così spesso nel suo blog, alcuni anni del quale sono raccolti nel famoso “Quaderno”, il volume che i dirigenti della casa editrice Einaudi, ormai proni di fronte al desiderio anche solo presunto del padrone, hanno rifiutato di pubblicare.

Ma se ne occupava anche perché, avendo vissuto nell’ultimo paese fascista d’Europa, restava acutamente sensibile al pericolo che un nuovo fascismo la potesse conquistare. Lo ripeteva continuamente: era per lucidità, di fronte al rischio di un contagio, del diffondersi del berlusconismo in Europa, che ne parlava ai suoi lettori internazionali.

Saramago era uno scrittore, non un ideologo. La sua passione per la vita e dunque per i piaceri della vita e per la lotta contro ogni ingiustizia, non erano “dottrina”: Saramago li raccontava attraverso le sue opere, li metteva in scena attraverso la sua fantasia strepitosa, la sua creatività inesauribile, uno stile che faceva diventare ogni lettore parte del racconto, con la perfetta fusione del registro del “parlato” e di quello tradizionale della narrazione romanzesca. Per questo le sue idee sembra che a qualcuno facciano paura: perché trasmesse da chi, grandissimo scrittore, sa spingere al pensiero critico nel momento stesso in cui sa coinvolgere in emozioni profonde.

Penso che Saramago fosse il più grande scrittore vivente. Ed è davvero malinconico vedere che quella che si ritiene la più grande potenza spirituale, la Chiesa gerarchica, si sia avvilita e ingaglioffita in stroncature postume del grande scrittore, con argomenti  che lasciano allibiti per povertà intellettuale e per smaccata prestestuosità.

In realtà sono stati il più esplicito omaggio che a Saramago si potesse fare. Considerare la sua spiritualità atea, e la forza narrativa con cui la trasmette, una minaccia per il gregge. Perché in effetti Saramago ci aiuta con le sue opere a non essere gregge, a pensare e sentire da individui, eguali e solidali.
Josè mi mancherà (ci mancherà) moltissimo.

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