La foto sembra quella di una cartolina. Il Washington Mall – uno dei monumenti più noti della capitale degli Stati Uniti – vi appare al tramonto, stagliato su un cielo sereno. Ma a chi l’ha trasmessa, della poesia del sole che cala dietro l’obelisco di marmo, importava poco. Perché ciò che conta, in quest’immagine, è ciò che nasconde. Ovvero, come spiega un rapporto dell’Fbi, una mappa dell’aeroporto di Burlington, in Vermont. Era a immagini di questo tipo – e alla tecnica che permette di produrle, chiamata steganografia – che Mosca si affidava per parlare con le sue spie, arrestate giorni fa negli Stati Uniti dall’Fbi.
I dieci agenti segreti catturati negli States – e l’undicesimo, svanito dopo essere stato arrestato e poi rilasciato su cauzione dalle autorità cipriote – utilizzavano, per comunicare ai loro referenti in Russia dettagli su armamenti atomici di precisione o connessioni di potere a Washington, una tecnica che è insieme antichissima e tra le più avanzate. La steganografia – “scrittura nascosta”, in greco – affonda le sue radici nel quinto secolo avanti Cristo, quando il tiranno Istieo rasava la testa dei suoi messaggeri, tatuava i messaggi sul loro cuoio capelluto, e attendeva che la chioma crescesse di nuovo per spedirli in missione. Chi li riceveva sapeva che fare: rasare di nuovo i messaggeri, e scoprire sui loro cranii i messaggi sulle mosse dei nemici persiani.
Gli insospettabili agenti russi avevano sostituito capelli e tatuaggi con immagini e codici informatici. La tecnica di base è semplice. Ogni immagine, audio o file informatico è infatti composto da bytes, “stringhe” di 1 e di 0 che il computer “traduce” in colori, pixel, dati. E se in alcune di quelle sequenze vengono modificati alcuni “1” o “0”, l’immagine o il suono non variano in maniera percettibile. Ma a quelle “invisibili” variazioni può essere associato un significato ben preciso. Un significato per decodificare il quale occorre una chiave di lettura, che indichi dove si trovino i bytes modificati, e aiuti così a leggere il messaggio nascosto. Senza codice l‘impressione è quella di trovarsi di fronte a foto o audio normalissimi. Con il codice quegli stessi file diventano miniere di informazioni. Che è possible “nascondere” in bella vista, su un qualunque sito internet.
La svolta nella vicenda delle spie russe arriva nel 2005, quando l’Fbi trova, nella casa di una di loro, una serie di dischetti protetti da una password, un foglio con la scritta “alt-control-e” e una stringa di 27 caratteri, e un hard disk esterno. Usando quel codice come password, gli agenti federali scoprono nei dischetti – scrive l’atto di accusa ufficiale contro le spie – “un programma che permette di crittografare informazioni, e poi di nasconderle clandestinamente in immagini su siti web pubblici”. E utilizzando quella chiave di lettura per “decrittare” le immagini nei siti citati nell’hard disk, trovano informazioni su indirizzi, appuntamenti, luoghi dove scambiarsi denaro. Insomma, la mappa del giro di spie russe negli States. Nascosta in alcune foto da cartolina.