Una manifestazione emozionante, palpitante, rigurgitante di vita e di consapevolezza civile. Questa lapidaria definizione mi sovviene per qualificare l’oceanica mobilitazione romana contro il ddl Alfano sulle intercettazioni e i tagli alla cultura comminati dalla manovra economica governativa.
Tra i numerosi e interessanti interventi (qui la playlist quasi integrale: http://www.youtube.com/view_play_list?p=0D796E3CCA5B1397), a mio umile avviso, quelli che hanno davvero toccato le corde del cuore sono stati ad opera dell’immenso Roberto Saviano, presentatosi sul palco con sconfinata sorpresa e sterminata ovazione del pubblico, e di Claudio Giardullo, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil.
Saviano, “l’orgoglio di Napoli” come ha gridato commosso un manifestante, ha puntato il dito contro la bubbola divulgata dal governo circa il ddl intercettazioni e la sua presunta difesa della privacy. “C’è un grande frainteso su questa vicenda.” – afferma Saviano – Ci viene raccontato che questa legge difenderà la privacy. La privacy, sia chiaro, è sacra. E’ uno degli elementi fondamentali della democrazia. (…) Ma questa legge non difende affatto la privacy. Su questo bisogna essere chiari. E semplici, diretti nel far capire questo. Non è vero che questa legge, come è stato detto, difende le “telefonate tra fidanzati”. Questa legge ha un unico scopo: impedire di conoscere quello che sta accadendo, impedire che il potere possa essere raccontato. Quindi, la privacy che loro vogliono difendere è la privacy degli affari, anzi dei malaffari.”
Tra gli applausi scroscianti del pubblico, Saviano continua: “E’ fondamentale capire un’altra cosa, che forse è nel profondo di tutti i visi che sto vedendo e di tutte le persone che sono qui, in questa serata infrasettimanale, nonostante il lavoro e nonostante il caldo. Quello che stiamo facendo e quello che state facendo supera i confini italiani, perchè è assurdo compromettere la libertà di stampa e la possibilità di indagare in Italia, uno dei paesi fondatori del “sogno europeo”. Difendere la democrazia qui significa non permettere che possa essere compromessa in Europa, non permettere che i giornalisti (che per esempio vengono perseguitati in molte parti del mondo) possano vedere un riferimento nella nostra democrazia, nel nostro modo di vedere e di comunicare. Quindi, quello che stiamo facendo è anche e soprattutto in nome di regole universali che permettono anche altrove di raccontare e di essere liberi: tutt’altro che diffamare il Paese. Tutt’altro che compromettere l’immagine dell’Italia nel mondo.
E prosegue: “Sono convinto che questa battaglia sia trasversale e che non riguardi più le parti politiche. In Italia sta accadendo qualcosa di molto pericoloso e complicato. Credo che si stia dividendo il Paese in persone perbene, indipendentemente dalle idee, e banditi, indipendentemente dalle idee.”
E sulle ultime dichiarazioni nauseanti ed agghiaccianti di Dell’Utri: “Mi hanno ferito ieri le parole di Marcello Dell’Utri, che per l’ennesima volta ha definito Mangano un eroe. Non permettiamo di far passare queste cose come naturali, come una boutade politica, come una semplice provocazione. E’ gravissimo e non è pensabile. Questa legge, per esempio, non avrebbe permesso a molti di raccontare gli affari che riguardano l’imprenditoria criminale e che aveva coinvolto il sottosegretario allo sviluppo, Nicola Cosentino. In qualche modo, ci stanno spingendo a dire: “tanto è tutto uno schifo, è tutto “na chiavica”, come si dice nel mio paese”. Questo non bisogna pensarlo, nella misura in cui è esattamente quello che vogliono.”
Saviano conclude con queste meravigliose parole: “Resistere è una parola complicata, forse spesso troppo abusata, come la parola “amore”, che, se ripetuta e spesa troppo spesso, quasi si lercia. Io penso che “resistere” oggi significhi permettere di raccontare. Voi lo raccontate a qualcun’altro, qualcun’altro ancora a qualcun’altro…e soprattutto senza paura di confrontarsi con gli altri, senza criminalizzare chi ha votato o la pensa in maniera diversa. Credo che ci sia uno spazio in questo momento per parlare ad alcune persone. Ieri, per esempio, ero a Viterbo, feudo storico del PDL: eppure c’erano migliaia di persone ad ascoltare le storie. Qualcuno non ha condiviso, qualcun’altro sì. Secondo me, questo è il momento per poter parlare a molte persone. E “resistere”, forse, ha una grande immagine, cioè quella di sognare un Paese diverso. Danilo Dolci, un grande filosofo che visse in Sicilia, nonostante fosse settentrionale, diceva che ciascuno cresce solo se sognato. Allora, io credo che l’Italia potrebbe crescere solo se iniziamo a sognarla.”
Claudio Giardullo ribadisce le opinioni di Saviano riguardo alla farlocca difesa della privacy, millantata da questo disegno di legge. Secondo Giardullo, con questa legge “saremo assolutamente meno sicuri. E lo dice oltre il 90% dei poliziotti italiani di qualunque colore e orientamento politico. Questa legge come effetto non avrà la tutela della privacy, ma meno legalità, meno informazione e meno diritti. La privacy è solo un pretesto. Se si volesse tutelare la privacy, basterebbe un articolo che indica quali sono gli atti giudiziari che devono rimanere segreti e che non possono essere assolutamente pubblicati fin quando non c’è sentenza. Non si fa così! Si impedisce la pubblicazione di qualunque atto giudiziario. Si impedisce la pubblicazione delle intercettazioni se non per riassunto. Tutto dice in questo disegno di legge che il lavoro delle forze di Polizia e della magistratura deve essere più difficile.”
Ma il reale fine del governo, come afferma Giardullo, è un altro: “Il vero obiettivo è avere un controllo di legalità addomesticato. Il vero obiettivo è non avere un controllo su chi gestisce la cosa pubblica. Il vero obiettivo è avere forze di Polizia e magistratura impegnate non sulla gestione della cosa pubblica, sul governo del Paese e sui grandi reati di stato, ma sui disgraziati, sui poveracci, sui lavavetri. E’ classista questa legge!”.
E come cambierebbe il lavoro delle forze di Polizia con questa legge? Giardullo dichiara che “le investigazioni hanno nelle intercettazioni uno strumento fondamentale. Servono subito dopo la commissione di un reato per avere un quadro investigativo attendibile. Servono per orientare le indagini. Servono soprattutto all’inizio. Questo disegno di legge prevede intanto un tetto ai tempi delle indagini, come se i tempi della criminalità organizzata e mafiosa possano coincidere coi tempi delle indagini dello Stato. Solo chi non conosce la lotta alla mafia può pensare che questi tempi coincidono. Quindi, già il tetto è una cosa incredibile ed inammissibile. E ancora: sessanta giorni più quindici di proroga più l’ultima trovata del Senato, ovvero le proroghe “tre giorni per tre giorni”. Queste farebbero correre i poliziotti, carabinieri e finanzieri dalla città dove operano fino al luogo in cui c’è il tribunale. E’ più una corsa contro il tempo per avere un’autorizzazione che l’impegno a fare le investigazioni. E c’è ancora la trovata del “giudice collegiale”. Siamo in un Paese in cui un giudice monocratico può stabilire della nostra libertà personale. Può convalidare un arresto, mentre ci vuole un giudice collegiale, più lento e che sta in un’altra città, solo per stabilire se si può fare una intercettazione.”
Giardullo prosegue, affrontando il problema delle “intercettazioni ambientali”: “E’ ridicolo se non fosse drammatico. Oggi con questo disegno di legge si potrebbe fare un’intercettazione ambientale soltanto se in quel determinato luogo privato si sta commettendo un reato. Se si sta commettendo un reato, noi interveniamo, non facciamo le intercettazioni”.
Il lavoro della Polizia e della Magistratura, dunque, sarebbe molto più complicato e difficile. “Diventerebbe difficilissimo affrontare la più pericolosa organizzazione criminale della Terra, come la ‘ndrangheta, ma anche le altre mafie, che non sono da meno. La mafia ha un fatturato annuo di 135 miliardi, di cui 78 netti; ha un giro d’usura di 13 miliardi; l’anno scorso ha usurato 200.000 commercianti e 160.000 imprenditori. Catania, Palermo, Napoli e Bari hanno dall’80% al 50% di imrpenditori taglieggiati. Una struttura così non si può fronteggiare senza strumenti investigativi. E invece si ridimensionano! Legalità, informazione, conoscenza devono essere addomesticati. Legalità, informazione e conoscenza sono gli strumenti di difesa di chi non ha potere. Sono i requisiti minimi perchè uno Stato possa essere considerato democratico. Sono l’infrastruttura materiale più importante per uno Stato che vuole lo sviluppo e vuole che non sia quella verso la quale stiamo andando, ovvero una società fatta di pochi cittadini garantiti e molti sudditi che sono esposti ad ogni rischio.”.
Giardullo conclude: “Con i magistrati, i giornalisti e coloro che producono cultura andremo fino in fondo in questa battaglia, a difesa dei diritti costituzionali e di chi non si rassegna a vivere in una società che qualcuno vuole fatta di pochi cittadini e di molto sudditi”.
Gisella Ruccia
Videoblogger
Media & Regime - 5 Luglio 2010
Una manifestazione emozionante
Una manifestazione emozionante, palpitante, rigurgitante di vita e di consapevolezza civile. Questa lapidaria definizione mi sovviene per qualificare l’oceanica mobilitazione romana contro il ddl Alfano sulle intercettazioni e i tagli alla cultura comminati dalla manovra economica governativa.
Tra i numerosi e interessanti interventi (qui la playlist quasi integrale: http://www.youtube.com/view_play_list?p=0D796E3CCA5B1397), a mio umile avviso, quelli che hanno davvero toccato le corde del cuore sono stati ad opera dell’immenso Roberto Saviano, presentatosi sul palco con sconfinata sorpresa e sterminata ovazione del pubblico, e di Claudio Giardullo, segretario generale del sindacato di polizia Silp-Cgil.
Saviano, “l’orgoglio di Napoli” come ha gridato commosso un manifestante, ha puntato il dito contro la bubbola divulgata dal governo circa il ddl intercettazioni e la sua presunta difesa della privacy. “C’è un grande frainteso su questa vicenda.” – afferma Saviano – Ci viene raccontato che questa legge difenderà la privacy. La privacy, sia chiaro, è sacra. E’ uno degli elementi fondamentali della democrazia. (…) Ma questa legge non difende affatto la privacy. Su questo bisogna essere chiari. E semplici, diretti nel far capire questo. Non è vero che questa legge, come è stato detto, difende le “telefonate tra fidanzati”. Questa legge ha un unico scopo: impedire di conoscere quello che sta accadendo, impedire che il potere possa essere raccontato. Quindi, la privacy che loro vogliono difendere è la privacy degli affari, anzi dei malaffari.”
Tra gli applausi scroscianti del pubblico, Saviano continua: “E’ fondamentale capire un’altra cosa, che forse è nel profondo di tutti i visi che sto vedendo e di tutte le persone che sono qui, in questa serata infrasettimanale, nonostante il lavoro e nonostante il caldo. Quello che stiamo facendo e quello che state facendo supera i confini italiani, perchè è assurdo compromettere la libertà di stampa e la possibilità di indagare in Italia, uno dei paesi fondatori del “sogno europeo”. Difendere la democrazia qui significa non permettere che possa essere compromessa in Europa, non permettere che i giornalisti (che per esempio vengono perseguitati in molte parti del mondo) possano vedere un riferimento nella nostra democrazia, nel nostro modo di vedere e di comunicare. Quindi, quello che stiamo facendo è anche e soprattutto in nome di regole universali che permettono anche altrove di raccontare e di essere liberi: tutt’altro che diffamare il Paese. Tutt’altro che compromettere l’immagine dell’Italia nel mondo.
E prosegue: “Sono convinto che questa battaglia sia trasversale e che non riguardi più le parti politiche. In Italia sta accadendo qualcosa di molto pericoloso e complicato. Credo che si stia dividendo il Paese in persone perbene, indipendentemente dalle idee, e banditi, indipendentemente dalle idee.”
E sulle ultime dichiarazioni nauseanti ed agghiaccianti di Dell’Utri: “Mi hanno ferito ieri le parole di Marcello Dell’Utri, che per l’ennesima volta ha definito Mangano un eroe. Non permettiamo di far passare queste cose come naturali, come una boutade politica, come una semplice provocazione. E’ gravissimo e non è pensabile. Questa legge, per esempio, non avrebbe permesso a molti di raccontare gli affari che riguardano l’imprenditoria criminale e che aveva coinvolto il sottosegretario allo sviluppo, Nicola Cosentino. In qualche modo, ci stanno spingendo a dire: “tanto è tutto uno schifo, è tutto “na chiavica”, come si dice nel mio paese”. Questo non bisogna pensarlo, nella misura in cui è esattamente quello che vogliono.”
Saviano conclude con queste meravigliose parole: “Resistere è una parola complicata, forse spesso troppo abusata, come la parola “amore”, che, se ripetuta e spesa troppo spesso, quasi si lercia. Io penso che “resistere” oggi significhi permettere di raccontare. Voi lo raccontate a qualcun’altro, qualcun’altro ancora a qualcun’altro…e soprattutto senza paura di confrontarsi con gli altri, senza criminalizzare chi ha votato o la pensa in maniera diversa. Credo che ci sia uno spazio in questo momento per parlare ad alcune persone. Ieri, per esempio, ero a Viterbo, feudo storico del PDL: eppure c’erano migliaia di persone ad ascoltare le storie. Qualcuno non ha condiviso, qualcun’altro sì. Secondo me, questo è il momento per poter parlare a molte persone. E “resistere”, forse, ha una grande immagine, cioè quella di sognare un Paese diverso. Danilo Dolci, un grande filosofo che visse in Sicilia, nonostante fosse settentrionale, diceva che ciascuno cresce solo se sognato. Allora, io credo che l’Italia potrebbe crescere solo se iniziamo a sognarla.”
Claudio Giardullo ribadisce le opinioni di Saviano riguardo alla farlocca difesa della privacy, millantata da questo disegno di legge. Secondo Giardullo, con questa legge “saremo assolutamente meno sicuri. E lo dice oltre il 90% dei poliziotti italiani di qualunque colore e orientamento politico. Questa legge come effetto non avrà la tutela della privacy, ma meno legalità, meno informazione e meno diritti. La privacy è solo un pretesto. Se si volesse tutelare la privacy, basterebbe un articolo che indica quali sono gli atti giudiziari che devono rimanere segreti e che non possono essere assolutamente pubblicati fin quando non c’è sentenza. Non si fa così! Si impedisce la pubblicazione di qualunque atto giudiziario. Si impedisce la pubblicazione delle intercettazioni se non per riassunto. Tutto dice in questo disegno di legge che il lavoro delle forze di Polizia e della magistratura deve essere più difficile.”
Ma il reale fine del governo, come afferma Giardullo, è un altro: “Il vero obiettivo è avere un controllo di legalità addomesticato. Il vero obiettivo è non avere un controllo su chi gestisce la cosa pubblica. Il vero obiettivo è avere forze di Polizia e magistratura impegnate non sulla gestione della cosa pubblica, sul governo del Paese e sui grandi reati di stato, ma sui disgraziati, sui poveracci, sui lavavetri. E’ classista questa legge!”.
E come cambierebbe il lavoro delle forze di Polizia con questa legge? Giardullo dichiara che “le investigazioni hanno nelle intercettazioni uno strumento fondamentale. Servono subito dopo la commissione di un reato per avere un quadro investigativo attendibile. Servono per orientare le indagini. Servono soprattutto all’inizio. Questo disegno di legge prevede intanto un tetto ai tempi delle indagini, come se i tempi della criminalità organizzata e mafiosa possano coincidere coi tempi delle indagini dello Stato. Solo chi non conosce la lotta alla mafia può pensare che questi tempi coincidono. Quindi, già il tetto è una cosa incredibile ed inammissibile. E ancora: sessanta giorni più quindici di proroga più l’ultima trovata del Senato, ovvero le proroghe “tre giorni per tre giorni”. Queste farebbero correre i poliziotti, carabinieri e finanzieri dalla città dove operano fino al luogo in cui c’è il tribunale. E’ più una corsa contro il tempo per avere un’autorizzazione che l’impegno a fare le investigazioni. E c’è ancora la trovata del “giudice collegiale”. Siamo in un Paese in cui un giudice monocratico può stabilire della nostra libertà personale. Può convalidare un arresto, mentre ci vuole un giudice collegiale, più lento e che sta in un’altra città, solo per stabilire se si può fare una intercettazione.”
Giardullo prosegue, affrontando il problema delle “intercettazioni ambientali”: “E’ ridicolo se non fosse drammatico. Oggi con questo disegno di legge si potrebbe fare un’intercettazione ambientale soltanto se in quel determinato luogo privato si sta commettendo un reato. Se si sta commettendo un reato, noi interveniamo, non facciamo le intercettazioni”.
Il lavoro della Polizia e della Magistratura, dunque, sarebbe molto più complicato e difficile. “Diventerebbe difficilissimo affrontare la più pericolosa organizzazione criminale della Terra, come la ‘ndrangheta, ma anche le altre mafie, che non sono da meno. La mafia ha un fatturato annuo di 135 miliardi, di cui 78 netti; ha un giro d’usura di 13 miliardi; l’anno scorso ha usurato 200.000 commercianti e 160.000 imprenditori. Catania, Palermo, Napoli e Bari hanno dall’80% al 50% di imrpenditori taglieggiati. Una struttura così non si può fronteggiare senza strumenti investigativi. E invece si ridimensionano! Legalità, informazione, conoscenza devono essere addomesticati. Legalità, informazione e conoscenza sono gli strumenti di difesa di chi non ha potere. Sono i requisiti minimi perchè uno Stato possa essere considerato democratico. Sono l’infrastruttura materiale più importante per uno Stato che vuole lo sviluppo e vuole che non sia quella verso la quale stiamo andando, ovvero una società fatta di pochi cittadini garantiti e molti sudditi che sono esposti ad ogni rischio.”.
Giardullo conclude: “Con i magistrati, i giornalisti e coloro che producono cultura andremo fino in fondo in questa battaglia, a difesa dei diritti costituzionali e di chi non si rassegna a vivere in una società che qualcuno vuole fatta di pochi cittadini e di molto sudditi”.
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Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - Ha un ruolo determinante come fattore di rischio per le malattie cardiovascolari (Cv), ancora oggi prima causa di morte e disabilità al mondo. E' la lipoproteina (a), nota anche come Lp(a), condizione ereditaria nascosta nei geni di 1 persona su 5. Scoperta nel 1963 da Kåre Berg, il suo rapporto causale con la malattia coronarica e l'infarto del miocardio è stato definito in modo inequivocabile nel 2009 con lo studio genetico realizzato dal consorzio europeo di ricerca Procardis. Ampi studi prospettici successivi hanno ulteriormente confermato come elevati livelli di Lp(a) (>50 mg/dl) contribuiscano allo sviluppo di aterosclerosi e stenosi aortica, entrambe causa di infarto miocardico e ictus, rendendola così una delle variabili da monitorare, soprattutto nella prevenzione secondaria delle malattie Cv. Se ne è parlato oggi, a pochi giorni dalla Giornata mondiale della Lp(a) in programma il 24 marzo, in un evento organizzato da Novartis.
La lipoproteina(a) è una particella sferica biosintetizzata nel fegato costituita da una lipoproteina Ldl a cui si aggiunge la apolipoproteina(a), o Apo(a), mediante formazione di un ponte disolfuro tra apolipoproteina B100 e Apo(a). E' determinata geneticamente, codificata dal gene Lpa situato sul cromosoma 6q26-27, e i suoi livelli, che restano pressoché stabili nel corso della vita, non sono modificabili con cambiamenti dello stile di vita come dieta ed esercizio fisico. Da un punto di vista epidemiologico, le donne over 50 presentano maggiori concentrazioni di Lp(a), pari a circa il 17% in più rispetto agli uomini, un aumento che coincide generalmente con la menopausa. A coloro che hanno testato la Lp(a) prima della menopausa andrebbe quindi consigliato di ripetere il dosaggio dopo la menopausa, o comunque entro 5 anni dal compimento dei 50 anni.
Uno studio prospettico del 2022 ha inoltre evidenziato che i soggetti geneticamente predisposti presentano livelli elevati di Lp(a) sin dalla nascita. Sebbene nei primi anni di vita i livelli di lipoproteina(a) siano generalmente bassi, il sangue del cordone ombelicale può essere un valido indicatore dei livelli di Lp(a) del sangue venoso neonatale che, se ≥ 90° percentile, possono aiutare l'identificazione dei neonati a rischio di sviluppare livelli elevati di Lp(a) in futuro. Valori superiori a 30 mg/dL sono stati associati a un aumento del rischio di ictus ischemico primario e ricorrente nei bambini e negli adolescenti.
"Il rischio cardiovascolare legato alla lipoproteina (a) sta diventando sempre più un tema di attenzione, soprattutto nei pazienti con precedenti eventi acuti o altre patologie cardiache - spiega Claudio Bilato, direttore della Cardiologia degli ospedali dell'Ovest Vicentino e professore a contratto presso la scuola di specializzazione in Malattie dell'apparato cardiovascolare dell'università di Padova - Studi recenti mostrano che livelli elevati di Lp(a) possono aumentare del 20% il rischio di infarti o ictus, indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali. Questo rende evidente che non considerare la Lp(a) nella valutazione complessiva del rischio cardiovascolare ne determina una sottostima. Al contrario, quindi, il suo dosaggio andrebbe incluso per una corretta ridefinizione del livello di rischio".
La Lp(a) è un fattore di rischio indipendente, poiché non legato ad alcuno dei tradizionali fattori di rischio Cv come dislipidemia, obesità e fumo, ed è un parametro importate nel definire o riclassificare il rischio Cv complessivo del paziente: elevati livelli di Lp(a) conferiscono un rischio più elevato ai soggetti con ipercolesterolemia, pur non influenzando i livelli di Ldl-C. Il dosaggio della Lp(a) andrebbe effettuato in pazienti a medio-alto rischio Cv per una migliore riclassificazione del rischio, in pazienti con eventi acuti recenti, prematuri o ricorrenti (anche in caso di controllo ottimale dei fattori di rischio convenzionali) e in pazienti con una storia familiare di eventi Cv prematuri, in pazienti con dislipidemie genetiche o in soggetti con significativa familiarità per malattia cardiovascolare. In particolare, per i pazienti con eventi acuti recenti, l'ospedalizzazione rappresenta un'opportunità indicata per valutare il rischio CV mediato dalla Lp(a) poiché i suoi livelli si abbassano immediatamente dopo l’evento, ma possono triplicarsi nelle settimane successive.
"La Lp(a) è un fattore di rischio che predice e peggiora il rischio cardiovascolare. Questo suggerisce come lo screening rappresenti un'opportunità concreta per prevenire eventi acuti evitabili - afferma Mario Crisci, dirigente medico Uoc Cardiologia interventistica, Aorn dei Colli - ospedale Monaldi, Napoli - La misurazione della Lp(a), dovrebbe essere presa in considerazione almeno una volta nella vita di ogni adulto per identificare coloro con livelli ereditari molto elevati. Il suo dosaggio andrebbe inserito nel normale percorso di ospedalizzazione a seguito di sindrome coronarica acuta o ictus e ripetuto a distanza di 1-3 settimane dall'evento acuto".
Oggi la sfida nella gestione dei pazienti con elevati livelli di Lp(a) è gravata dal fatto che non esistono farmaci approvati specificamente per ridurne i livelli, pertanto i medici si concentrano su strategie indirette, come il controllo di altri fattori di rischio Cv, tra cui il colesterolo Ldl, l'ipertensione, il diabete e l'infiammazione. Nei casi più gravi si ricorre all'aferesi delle lipoproteine, una procedura invasiva simile alla dialisi che rimuove fisicamente la Lp(a) dal sangue. Tuttavia, negli ultimi anni la ricerca ha compiuto progressi significativi, con lo sviluppo di nuove terapie attualmente in fase di sperimentazione clinica. Tra queste pelacarsen, un oligonucleotide antisenso attualmente in fase 3 di sperimentazione clinica, sta dando risultati promettenti.
"In Novartis sappiamo che le malattie cardiovascolari restano ancora oggi un'emergenza sanitaria globale - dichiara Paola Coco Country, Chief Scientific Officer and Medical Affairs Head Novartis Italia - Il nostro impegno è quello di individuare soluzioni terapeutiche in grado di rispondere a questa sfida e renderle disponibili ad un numero sempre maggiore di pazienti. E' il nostro modo di reimmaginare il futuro delle patologie cardiovascolari per garantire una migliore qualità di vita e sopravvivenza sul lungo periodo affinché nessun cuore smetta di battere troppo presto".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - La procura di Roma ha chiesto il processo per quattro medici in relazione alla morte di Andrea Purgatori, avvenuta nel luglio 2023. L’accusa contestata è di omicidio colposo. I pm di piazzale Clodio avevano chiuso le indagini lo scorso dicembre nei confronti del radiologo Gianfranco Gualdi, l’assistente Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, e il cardiologo Guido Laudani. Ora la richiesta di rinvio a giudizio e l’udienza preliminare che prenderà il via il prossimo 19 settembre.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "La linea del Pd è molto chiara: Si alla difesa comune e No al riarmo degli Stati. E a questo punto ci domandiamo: come fa il Governo ad avere una linea dove Tajani sostiene la linea del Si all'Europa, Salvini vuole uccidere l'Europa e la presidente Meloni fischietta". Lo ha detto ai Tg Stefano Graziano, capogruppo Pd in commissione Difesa di Montecitorio.
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "Le tecniche di Pma sono diverse e danno risultati diversi", per questo è importante "garantire l'accesso alle tecnologie più efficaci". Lo ha detto all'Adnkronos Salute Antonio Pellicer, professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia all'università di Valencia, fondatore di Ivi, Istituto valenciano di infertilità, specializzato nella procreazione medicalmente assistita, commentando i dati della Relazione 2024 sullo stato di attuazione della legge 40/2004 in materia di Pma trasmesso del ministero della Salute al Parlamento. "Nel 2022 - sottolinea - in Italia si sono fatti intorno a 87mila trattamenti" di procreazione medicalmente assistita, "un lieve incremento rispetto al 2021. Le donne che ricorrono alla Pma hanno un'età media intorno a 37 anni: un'età troppo elevata per avere figli e che ritengo sia una conseguenza dei cambiamenti sociali. Rispetto a una volta, infatti, le coppie decidono di avere figli più tardi", a un'età più avanzata. (Video)
Tornando alle tecniche di Pma, "se si utilizza il materiale biologico, i gameti della coppia, la classica Fivet, cioè la fecondazione in vitro - spiega Pellicer - con 3 embrioni sani a disposizione, siamo in grado di garantire il 93% di successo. Se invece utilizziamo ovuli donati, quindi si ricorre all'eterologa con ovodonazione, avendo 5 embrioni, il successo è ancora più alto: si può arrivare anche al 98%, perché gli ovuli sono più giovani".
In Italia ci sono dati che mostrano chiaramente che la Pma è ancora poco utilizza. "Spagna e Danimarca - illustra il professore - hanno un tasso di utilizzo intorno al 10-12%: su 100 bambini che nascono, 10-12 sono da Pma. In Italia sono solo il 4,2%". Inoltre, secondo il report ministeriale, un consistente numero di centri Pma di secondo e terzo livello presenti sul territorio nazionale svolge un numero ridotto di procedure nell'arco dell'anno. Solo il 32,5% ha eseguito più di 500 cicli contro una media europea del 50,1%. Si deve inoltre considerare che più della metà delle tecniche di secondo e terzo livello è effettuato in centri privati, con grandi differenze regionali. "Per colmare questo gap - suggerisce Pellicer - ovviamente è importante l'informazione, l'educazione, ma anche l'aiuto economico alle coppie per garantire che accedano al trattamento più moderno ed efficace nei centri pubblici o privati convenzionati". Su questo aspetto "è stato un grande risultato il riconoscimento dell'infertilità come una malattia e, come tale, il suo inserimento nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza, cosa che facilita l'accesso al trattamento della Pma. Ma attenzione: questo aiuto deve essere adeguato - avverte - perché questa è una tecnologia che 'impara' continuamente", evolve in fretta "e bisogna applicare le tecniche più moderne per avere tassi di successo più elevati".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Noi siamo gli unici ad entrare nel merito delle questioni. A dire sì alla difesa comune e come dobbiamo costruire quella difesa comune. E a dire no al riarmo dei singoli 27", a dire "quali sono le critiche puntuali e come chiediamo di cambiare le proposte che non vanno nella direzione della costruzione di una vera difesa comune". Lo ha detto Elly Schlein all'assemblea congiunta dei gruppi Pd.
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "La prevalenza del diabete in Italia è attualmente attorno al 7%, che corrisponde a circa 4 milioni e mezzo di persone con diabete. Sappiamo, però, che per ogni 2 persone con diabete ce n'è almeno una terza che ha il diabete, ma non sa di averlo: quindi abbiamo circa 1 milione di individui con diabete non diagnosticato. Il 90% dei casi è costituito da diabete di tipo 2, 5-6% circa da diabete di tipo 1, 1-2% da diabete gestazionale e poi ci sono altri tipi meno frequenti di diabete come il diabete da difetti genetici o forme di diabete secondario. Non solo, si stima che poco più di 1 paziente su 2 sia aderente alla cura suggerita". Lo ha detto Riccardo Candido, presidente Amd - Associazione medici diabetologi, intervenendo oggi a Roma alla conferenza stampa 'Diabete di tipo 2: investire in salute, tra accesso all'innovazione ed efficienza del Ssn, è la sfida per il futuro', promossa da Lilly.
"Nel mondo le persone con diabete sono più di mezzo miliardo, numero destinato a crescere fino ad un miliardo e 300 milioni da qui ai prossimi 25 anni - avverte lo specialista - Anche in Italia le stime prevedono un aumento al 9-10% della prevalenza nel 2040. Il diabete è una pandemia per i numeri e per l'impatto che ha sulla salute, sulla qualità di vita e sui costi del Servizio sanitario nazionale: basti dire che circa l'8% dei costi sanitari globali sono legati al diabete". In particolare, "la spesa più elevata riguarda le ospedalizzazioni per le complicanze, i farmaci utilizzati per il trattamento delle comorbilità correlate al diabete e le prestazioni ambulatoriali. Di conseguenza - sottolinea l'esperto - oggi è urgente per gli Stati intervenire con provvedimenti sanitari e politico-istituzionali in grado di incidere sia sulla prevenzione delle complicanze, ma anche sulla corretta gestione della malattia diabetica e sulla cura".
Attualmente molte persone con diabete non raggiungono i risultati di controllo prefissati. "I dati degli Annali di Amd rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%, che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico. I motivi? Diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato; difficoltà da parte dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia, per cui lo specialista non poteva spingere troppo il dosaggio", elenca Candido. E "ovviamente la ridotta aderenza dei pazienti alle terapie che vanno seguite per tutta la vita: si stima che poco più di 1 paziente su 2 sia aderente alla cura suggerita. L'ultimo aspetto è la difficoltà, a livello regionale, di disporre e di mettere a disposizione in tempi rapidi le innovazioni terapeutiche che oggi sono le più efficaci, come tirzepatide, non gravato dal rischio ipoglicemico, che agisce sul controllo glicemico e sulla riduzione del peso corporeo, efficace anche sul controllo della pressione e del colesterolo, agendo quindi anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Problematico - conclude Candido - resta nel nostro Paese il tema della disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche".
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - "L'orientamento attuale nella cura e assistenza del paziente con diabete è la gestione integrata, in cui è strategico il lavoro in team multidisciplinare, costituito da endocrinologi e diabetologi, ma anche da molte altre figure professionali quali il medico di medicina generale, figura professionale fondamentale perché conosce meglio il paziente e la realtà famigliare e sociale in cui vive e lavora. Il diabetologo e l'endocrinologo sono le due figure di riferimento cui fanno da corollario indispensabile il dietista, il nefrologo, il cardiologo, l'oculista, il neurologo, il chirurgo vascolare, l'ortopedico, lo psicologo fino all’infermiere dedicato". Lo ha detto Andrea Frasoldati, presidente Ame - Associazione medici endocrinologi e direttore Struttura complessa di Endocrinologia dell'Arcispedale Santa Maria Nuova Irccs, Asl di Reggio Emilia, nel suo intervento oggi a Roma alla conferenza stampa 'Diabete di tipo 2: investire in salute, tra accesso all'innovazione ed efficienza del Ssn, è la sfida per il futuro', promossa da Lilly.
"La presenza di questi specialisti - sottolinea Frasoldati - è decisiva nell'assicurare al paziente e alla malattia un management adeguato con le migliori terapie, una diagnosi precoce e un trattamento ottimale, in grado di prevenire o rallentare la progressione delle complicanze". Ma "una gestione integrata prevede un sistema organizzato per rispondere ai bisogni dei pazienti e la mancanza di uno scambio tra le diverse figure specialistiche può rendere difficile al paziente l'accesso e l'aderenza alle cure".
Il diabete, ricorda lo specialista, "è una malattia cronica che comporta un rischio aumentato di diverse complicanze di carattere vascolare che coinvolgono diversi organi. In tal caso il paziente necessita dell'intervento di tanti specialisti". Sul fronte terapie, "grazie ai benefici di una nuova classe di farmaci si può intervenire sul peso, un aspetto molto importante - rimarca - perché il paziente è contento e più attivo. Anche in termini di aderenza al trattamento è coinvolto in modo positivo e meno rinunciatario".