Torturati gli uomini, stuprate le ndonne. L'inferno di 247 persone nella denuncia del Consiglio italiano dei rifugiati
Maurizio Massari, portavoce del ministro degli Esteri Franco Frattini ha replicato che non si tratta di un “un problema tra Italia e Libia” e “non si capisce perché solo l’Italia si debba fare carico di questi rifugiati e del problema dei rifugiati in generale”. Ma Roma ha sottoscritto con Tripoli il pattugliamento marittimo congiunto e, a partire dal maggio 2009, le autorità italiane hanno trasferito nel paese del colonnello Gheddafi migranti e richiedenti asilo intercettati in mare. Anche se la Libia non è parte della Convenzione sui rifugiati del 1951 e non ha una procedura di asilo.
Anche Amnesty International si appella alle autorità di Tripoli perché, oltre a fornire acqua, cibo, servizi igienici adeguati e cure, non rinviino forzatamente in Eritrea i rifugiati, “rispettando il principio internazionale del non respingimento verso paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di tortura o altre forme di maltrattamento”.
“Il destino per chi viene rispedito in Eritrea – dice Riccardo Noury di Amnesty International Italia- è il carcere, torture e maltrattamenti per loro e i familiari. Chiediamo alla Libia il rispetto degli obblighi umanitari”. Nel rapporto 2010 dell’organizzazione per i diritti umani, infatti, vengono denunciati tutte le restrizioni della libertà personale del governo di Asmara: leva militare permanente, mancanza di libertà di stampa, persecuzioni religiose (circa 3.000 cristiani di religioni non riconosciute dallo stato sono in detenzione). Le autorità hanno interrogato, torturato e maltrattato persone critiche verso il governo nel tentativo di impedire il dissenso. Spesso i prigionieri sono stati frustati, presi a calci o legati con funi in posizioni dolorose per periodi prolungati. A dicembre 2009 le Nazioni Unite hanno approvato la risoluzione 1.907 che impone sanzioni all’Eritrea, compreso un embargo sulle armi e un congelamento dei beni e il divieto di espatrio per i membri del Governo.
Nonostante questa situazione drammatica, è il quarto tentativo delle autorità libiche di deportare in blocco i profughi eritrei. La prima volta nel 2004 il rimpatrio forzato è riuscito per 110 eritrei. “Ci risulta – continua Noury – che sono stati arrestati e torturati in prigioni militari segrete”. Gli altri due tentativi non sono andati a buon fine anche per le proteste e l’attenzione della comunità internazionale. In questi giorni Tripoli ci riprova. E proprio a ridosso dalla chiusura dell’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Libia. Per chi decide di scappare dal regime eritreo di Isaias Afewerki il destino è segnato dall’inferno dei campi profughi in Etiopia.