Bilancio medico: “Trauma contusivo della regione zigomatica e all’occhio destro”. E’ arrivato con questo referto in ospedale, ieri, il deputato Franco Barbato, dipietrista d’assalto di Montecitorio, il guerriero riccioluto, il caduto che resta sul campo quando si è dissolta la nube dell’ira. Bilancio politico. Un’altra guerriglia nell’emiciclo, l’ennesima. E ogni volta che si arriva alla rissa si passa al dopopartita, ai provvedimenti disciplinari. Le risse in Parlamento non sono (come si dice di solito) episodi deplorevoli, prodotto dell’ira e della casualità scomposta, ma segnali premonitori, punti di svolta, annunci di cambio di stagione. Una rissa tra socialisti e retini (come vedremo) ha chiuso la storia della Prima Repubblica, una tra Paissan e Storace ha raccontato il primo governo Berlusconi, un’altra ancora tra Sgarbi e Nappi ha annunciato il ribaltone, una tra Cusumano e Barbato (un altro Barbato, questa volta dell’Udeur) ha chiuso l’agonia del secondo governo Prodi. Che quella di ieri sia il punto di chiusura dell’era berlusconiana?

Merita di essere raccontato il match di pugilato di ieri. Da due giorni le scintille erano nell’aria. Si discuteva del disegno di legge del ministro Giorgia Meloni sui finanziamenti alle Comunità giovanili, e nella notte della vigilia alla Camera erano arrivati (quasi alle mani) il capogruppo del Pdl Cicchitto e il deputato ex aennino Marcello De Angelis. Ieri le scuse di De Angelis, l’apparente riappacificazione. E invece l’elettricità era rimasta nell’aria. Così, nel dibattito, prende la parola Barbato. Attacca Giorgia Meloni sul piano diretto, non solo politico, ma anche personale: “Con questo ddl, lei vuole finanziare la sua corrente, quella di Alemanno e del suo assessore regionale Lollobrigida che gestirà questi finanziamenti, un assessore che se non sbaglio le è anche parente…”. In realtà Lollobrigida, più che la parentela diretta con la sorella del ministro, è un esponente di spicco dei “gabbiani”, la corrente della Meloni, uno dei dirigenti romani più radicato e votato nella Capitale. Ed ecco che l’attacco fa salire sul ring Fabio Rampelli, che della corrente nata intorno a Colle Oppio è uno dei leader storici indiscussi, e Marco Marsilio, che ne è il numero due. Qui succede il patatrack. Perché a fare le barricate contro la legge c’è una finiana, sia pure eterodossa, come Alessandra Mussolini. Anche lei condivide la critica alla Meloni. Anche lei finisce sulle barricate. Per la prima volta la rissa è anche interna corporis di una stessa maggioranza, divide gli schieramenti in modo trasversale: “I deputati del Pdl, Marsilio e Rampelli, due che fanno capo a Meloni – attacca la Mussolini – mi sono venuti incontro in aula e mi hanno detto di ‘stare attenta’. Mi hanno insultato e minacciata”. La deputata attacca ancora, e non esita a schierarsi con il suo collega dipietrista: “Hanno detto che la colpa del rinvio è mia e di Barbato che poveraccio è finito in ospedale solo perché ha detto la verità”.

Apriti cielo. Così vale la pena di ripercorrere il film delle battaglie d’aula per scoprire eventuali analogie e differenze. Nel 1993, il giorno del voto sull’autorizzazione a procedere su Bettino Craxi, esplode la tensione con uno scontro gladiatorio legato al voto. I deputati socialisti (c’erano ancora) accusarono i loro vicini di emiciclo della Rete: “Avete votato a favore per buttarla in caciara!”. Sui banchi i retini (erano solo 12) furono letteralmente travolti, un manrovescio colpì il capogruppo, Diego Novelli. Il rientro al gruppo fu sorvegliato dai commessi, schierati a doppia barriera in Transatlantico come i celerini allo stadio. Era la fine di una Repubblica, e nessuno lo aveva ancora capito. Nel 1994, il berlsuconismo portò al governo An, non ancora in discontinuità con il Msi sociale. In aula Francesco Storace, con fare gladiatorio mise le mani addosso al deputato Verde Mauro Paissan. Ma a fare ancora più scandalo furono le dichiarazioni post rissa: “Mi aveva graffiato con le sue unghie laccate!”. Omofobia, squadrismo, i titoli dei giornali si riempirono di paroloni, era iniziato il Berlusconi uno. Anche il ribaltone del 1995 fu profetizzato da una rissa. In commissione Cultura, nel dicembre del 1994 Sgarbi urlò contro il rifondarolo Gianfranco Nappi: “Sei il nulla. Sei un orrido reperto comunista!”: Nappi passò alle vie spicce, tirando due fascicoli sulla testa di Sgarbi: “Mafanguolo, becchino!”. Ed infatti era il funerale del centrodestra, e l’epifania del centrosinistra prodiano. Nel 2002, dopo il nuovo cambio di maggioranza, epico duello fra Ciriaco De Mita e Ignazio La Russa: “Avete portato al governo il giustizialismo”, sentenziò l’uomo di Nusco. E l’allora capogruppo di An: “Quando noi eravamo giustizialisti, voi eravate in prigione…”. Apriti cielo. Il solitamente olimpico De Mita aspettò La Russa all’uscita. Dove lo placcarono tre commessi. L’ex Dc urlava, pallido come un cencio, ma sempre in demitese: “Fascisda eri.. Fascisda rimani!!!!”. E La Russa: “Meglio fascista che ladro!”. L’ultima frattura, la fiducia fallita al Senato del Prodi Bis. L’Udeur, che provoca la caduta ha il suo dissidente, Nuccio Cusumano. Che si produce in intervento sofferto. Viene aggredito a colpi di sputo dal collega Tommaso Barbato: “Infame! Carogna! Mi fai schifo!”. Si sfiora il dramma, la foto è su tutti i giornali. E ancora una volta si cambia pagina. Vuoi vedere che anche l’occhio nero di Barbato può passare alla storia?

Da Il Fatto Quotidiano del 8 luglio 2010

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