Due settimane fa mi trovavo lungo il fiume Danubio, assieme a 3 colleghi provenienti da 3 continenti diversi, perché una delle aziende vinicole più note dell’Austria, Nikolaihof, aveva deciso di riordinare la cantina dopo qualche decennio: mettendo in degustazione una serie di vini “maturi”.

Per quanto si siano stappate bottiglie ove s’era accumulata polvere da non prima degli anni Settanta del secolo scorso, cioè da poco dopo che la famiglia Saahs è divenuta proprietaria dell’azienda, Nikolaihof è una delle più vecchie aziende vitivinicole dell’Austria. Peraltro, Nikolaus Saahs e sua moglie Christine sono stati fra i primi nel mondo a professare, e praticare, la biodinamica: ben prima del rinomato produttore vinicolo francese Nicolas Joly.

La storia dell’Austria è segnata sulle rive del Danubio, come, su alcune case presso le rive del fiume, sono segnati i diversi livelli delle alluvioni del fiume. L’ultima, modesta, proprio due settimane fa. È il possente e sinuoso fiume ad avere permesso, circa 2000 anni fa, ad opera dei Romani, la diffusione della viticoltura in questa area vinicola chiamata Wachau: 1500 ettari di vigne, su rocciose e ripide colline, dove si susseguono terrazzamenti secolari dai filari orizzontali. E dove il sole può arrivare a 40° C durante i mesi estivi. Sebbene, in autunno, nelle settimane prima della vendemmia, non manchi un’alta escursione termica diurna: fondamentale per l’acidità o la finezza aromatica delle uve. E quindi dei vini. Alcuni dei migliori vini bianchi del mondo sono prodotti in Wachau: fra monumenti romanici, torri, castelli, villaggi medievali, abbazie millenarie. E rovine di basiliche cristiane, come quella che si trova nell’azienda NIkolaihof. I vini più buoni della Wachau, e quelli dell’azienda, provengono da due vitigni: il Riesling Renano, da cui i vini bianchi più longevi al mondo, e il Grüner Veltliner, che occupa 1/3 delle vigne di tutta l’Austria.

A differenza della Germania, dove è possibile stappare bottiglie di Riesling del XIX secolo trovandole eccellenti, in Austria si possono assaggiare Riesling o Veltliner maturi e al contempo eccellenti “solo” fin dagli anni Trenta del XX secolo. Di solito sono vini che, seppur oggi riescono quasi secchi al palato e si abbinano facilmente a varie pietanze, contengono una non trascurabile quantità di zucchero residuo, ossia non trasformato in alcol durante la fermentazione alcolica di allora. Tali vini riportano in etichetta i termini Spätlese (vendemmia tardiva) o Auslese (raccolta di grappoli selezionati). Così un Grüner Veltliner Spätlese del 1959, per intenderci, oggi può sembrare secco anche se mezzo secolo fa sarebbe sembrato un po’ dolce.

La particolarità di Nikolaihof, oltre a una gigantesca pressa di legno secolare, unica al mondo per grandezza (si dice che sia tuttora usata, non oso immaginare come), è che i vini maturi Spätlese o Auslese non hanno una quantità considerevole di zucchero residuo, e sono sempre riusciti secchi al palato. Essi dimostrano, come pochi altri vini in Europa, che non sono soltanto i vini dolci a durare decenni.

Il 1973 Riesling Steiner Hund Spätlese, vendemmiato a novembre, è straordinario. Il 1977 Grüner Veltliner Silberbichl è delizioso, almeno quanto il 1976 Grüner Veltliner Steiner Pfaffenberg. Buono il 1974 Grüner Veltliner Silberbichl, come il 1992 Riesling Smaragd Weingebirge e il 1999 Grüner Veltliner Smaragd Weingebirge. E, anche se negli ultimi anni l’azienda ha messo in commercio degli ottimi vini Riserva (Vinothekfüllung), dopo averli tenuti 10-15 anni in grandi botti legno, gli anni Settanta assaggiati paiono migliori: erano stati messi in bottiglia nell’anno successivo alla vendemmia e la viticoltura biodinamica era agli inizi.

Viene da domandarsi per quale ragione un vino debba durare tanto, specie se non si hanno eredi. Probabilmente è il fascino del tempo: in Italia partecipo spesso a degustazioni di vini bianchi maturi che sanno di tartufo ossidato e inacidito, ma di cui si beano i degustatori. Invece, in alcune nazioni del Nord Europa, tali bevande non piacciono; giacché si è avvezzi ad assaggiare vini bianchi maturi che sanno di frutta candita e polposa. Di certo, cercare la giovinezza in vini non giovani, è un concetto paradossale. Ma forse solo in apparenza. Partecipare d’una immutata giovinezza, è dimenticare per un attimo la finitezza: almeno il vino riesce a vivere, e in buona salute, più di noi.

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