Al sondaggio proposto on line da Il Fatto ho votato no, lo sciopero non è la soluzione giusta per protestare contro il ddl intercettazioni. E ho sperato fino all’ultimo in un dietrofront della Federazione nazionale della stampa, degli editori, dei direttori e dei cdr delle varie testate. Ho sperato che venisse accolta la proposta di Valigia Blu, che si studiasse qualcosa di creativo, uno sciopero al contrario insomma.
Ci voleva qualcosa di eclatante, una dimostrazione chiara di rifiuto, un grido corale. Ma ormai pare troppo tardi, e ancora una volta assisteremo a un silenzio comune. Un’occasione mancata. Che meraviglia se, al posto del silenzio, dieci quotidiani si fossero accordati per uscire ciascuno con una lettera cubitale in prima pagina di modo che affiancandoli formassero la scritta NO BAVAGLIO. Se tutte le testate che aderiscono alla protesta andassero in edicola senza pubblicità e con scritte enormi in ciascuna pagina che spiegassero in maniera semplice e diretta quale sciagura rappresenterebbe per la società l’approvazione di questo ddl.
Troppo spesso, i giornalisti, i giornali scivolano nel parlarsi addosso, trascurando e dando per scontato troppe cose nei confronti dei lettori. Sono tanti i cittadini che ancora non hanno nemmeno ben chiara la differenza di significato tra “assoluzione” e “prescrizione”. Questa protesta era una buona occasione proprio per spiegare, con parole semplici ma efficaci. Proprio come fa Berlusconi da anni con gli italiani: parla loro come se fosse seduto al bar. Bisognerebbe che cominciassimo a farlo un po’ anche noi giornalisti (con qualche tonnellata di culi e tette in meno, chiaramente).
E invece no. Si sceglie il silenzio. E mettendomi nei panni dei lettori, della gente della strada, in questo modo la distanza già avvertita tra cittadino e giornalisti aumenterà tristemente, alla stregua del baratro che divide ormai società civile e casta politica.
Quella fiamma che brucia e tiene viva la missione di informare che in teoria anima ogni giornalista sembrerà ancora più debole e innocua.
Eppure so che c’è. So che i colleghi, a partire da quelli de Il Fatto, ce l’hanno nel sangue. E sono certo che loro, come tanti altri delle altre testate, se accadesse un altro 11 settembre interromperebbero lo sciopero, correrebbero alle loro scrivanie e onorerebbero d’istinto quel compito fondamentale che hanno scelto di adempiere ogni giorno: informare.
Mi sembrava un’occasione altrettanto importante da onorare. Per scrivere quello che accade e quello che accadrebbe se il ddl passasse. Cronaca e prevenzione. Quello sarebbe proprio un gran bel giornalismo.