Chiusa Porta a Porta, Bruno Vespa apre casa sua. Sulla terrazza su Trinità de Monti, con la scusa di festeggiare i 50 anni di professione, giovedì sera ha organizzato una cena accomodando Silvio Berlusconi (accompagnato dalla figlia Marina), Gianni Letta, il cardinale Tarcisio Bertone, Pierferdinando Casini, il governatore Mario Draghi e Cesare Geronzi, numero uno di Generali. Tra gli invitati anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che però non si è presentato a casa del conduttore. E mentre Casini smentisce di aver ricevuto offerte, la Lega, saputo della cena, minaccia di far cadere il Governo e portare il paese al voto.
La cena a casa di Vespa sembra essere stata controproducente per il premier. Berlusconi sperava di lasciare la residenza romana del conduttore con in tasca l’accordo con Casini , l’Udc nella maggioranza e senza più lo spettro della crisi di governo. Ma l’ex presidente della Camera ha detto no. No all’offerta di diventare vicepresidente del Consiglio. No al rilancio di scegliere il successore di Scajola allo sviluppo economico. No alla Farnesina, il ministero degli Esteri offerto dal premier dopo il sorbetto. Niente da fare. Berlusconi abbandona sulla terrazza di Trinità de Monti le speranze e se ne va seguito dall’ombra della crisi di governo. Che non lo lascia ormai neanche di notte.
Tramontanta ormai anche la speranza di avvicinare (comprare, sarebbe più appropriato secondo molti) i finiani. E se ci fossero dei dubbi in proposito li dissipa Italo Bocchino. Il fedelissimo del presidente della Camera, saputo dei tentativi di avvicinamento dell’Udc durante la cena da Vespa, serve l’amaro al premier. Con una dichiarazione ai microfoni di CnrMedia riesce a colpire tre bersagli: far intravedere la caduta del Governo, sostenere Casini e tagliare le gambe a qualsiasi compravendita pdellina. “Siamo uno in più del numero necessario a far cadere la maggioranza”, afferma lapidario Bocchino e invia a Berlusconi. “Gli acquisti si fanno al supermercato e il solo pensarlo offende la serietà di chi fa politica”, ammicca a Casini. “Bisogna evitare la compravendita delle poltrone: noi le abbiamo sempre rifiutate e continueremo a farlo”, azzera ogni speranza del premier. Dopo qualche ora Bocchino smentisce l’intervista a Cnr Media, dicendo di essere stato frainteso. Come possa essere fraintesa un’intervista radiofonica non è dato sapere. Solitamente si smentisce una notizia per farla pubblicare due volte. In questo caso per mandare un doppio messaggio: facciamo cadere il Governo, ma se sei bravo anche no.
La debolezza del premier è evidente. Persino l’ago e il filo del preziosissimo sottosegretario Gianni Letta, raffinato sarto esperto nel ricucire gli strappi della maggioranza, si sono rivelati inutili. Le sponde un tempo utili si rivelano ormai superate. Come il cardinale Tarcisio Bertone, invitato a casa di Vespa per ammorbidire le posizioni di Casini. Niente da fare. In più c’è il silenzio della Lega. Da sempre innamorata dell’idea di vedere Giulio Tremonti alla guida di un governo tecnico. Da via Bellerio nessuno parla. E del carroccio nessuno ha partecipato alla cena di giovedì sera a Trinità de Monti. Tutti i fronti rimangono aperti. Fini è il nemico numero uno. Seguito dal Colle, al quale però Berlusconi ha inviato il fido Alfano con un messaggio di apertura sulla legge Bavaglio. Napolitano risponde stamani, ribadendo il solito “sì alle riforme, ma solo con un percorso condiviso”.
C’è poi, come detto, l’ormai traballante fedeltà leghista che già nel 1994 aveva fatto cadere Berlusconi. E che Roberto Maroni, nel pomeriggio, traduce nel modo più chiaro possibile. Dice all’Ansa il ministro dell’Interno: “Lega e Udc sono alternative, se qualcuno nell’Udc pensa che il partito di Casini possa entrare nel Governo sa bene che noi e l’Udc non possiamo stare insieme”. Quindi avvisa che “se cade il Governo si va al voto” perché alle “sante alleanze non credo che i cittadini abboccheranno”. Infine impugna l’ormai impolverata (ma sempre utile) bandiera antiromana. La cena a casa di Vespa, dice Maroni, è “vecchia politica romana. Sono manovre di stampo romanesco che mi ricordano l’epoca del 1992 e del 1993, quando tutto si decideva in qualche salotto romano”. Tanto per far capire a Berlusconi che va bene l’alleanza e la volontà di rimanere al Governo, ma se per resistere si deve far entrare nella maggioranza Casini (e quindi si dice addio all’amato federalismo) la Lega fa cadere tutto. Infine, per ultimo tra i pensieri del premier, c’è quel terzo polo rutelliano che aleggia e i molti uomini del Pdl (abituati a repentini cambi di casacca) che potrebbero abbandonare la nave in tempo utile prima di vederla affondare.