Se si vogliono capire tutte le contraddizioni della Cina contemporanea, può risultare molto utile la vicenda Google-Pechino approdata infine ad un compromesso paradossale. Dopo giorni di suspance, venerdì il regime comunista-capitalista ha rinnovato la licenza di Internet Content Provider al motore di ricerca più famoso al mondo. Google, però, nella sua versione cinese sarà diverso dalle analoghe home page nei paesi democratici: disponibili alcuni servizi di base, per le ricerche Internet sarà necessario un ulteriore click verso Google Hong Kong. È questo il prezzo da pagare per non applicare “filtri” della censura alle ricerche degli utenti. Un buco, per quanto piccolo, si è così aperto nella rete cinese. Un buco, va detto, che potrebbe anche essere chiuso a breve.
L’accordo è arrivato dopo una partita tra il governo cinese e BigG durata sei mesi: sulla scacchiera, un diverso approccio alla libertà e alla democrazia, questioni internazionali, strategie economiche, interessi geopolitici.
Google era sbarcato in Cina nel 2006 deciso a non perdere terreno nel paese che, visto il numero di abitanti e la imponente crescita economica, è il più grande mercato web del mondo. Per sbarcare a Pechino, Google aveva accettato di applicare dei filtri alle ricerche Internet dei cittadini locali. Il governo ha sempre rivendicato il suo approccio: “la Cina ha le sue tradizioni culturali e gestisce Internet in accordo con le sue leggi” ha recentemente ribadito il ministro degli esteri Qin Gang.
A controllare le ricerche ritenute lecite, e quelle illecite, a monitorare interesi degli utenti e a segnalare alla polizia i dissidenti mobilitati a favore della democrazia (il più noto è Liu Xiaobo condannato a undici anni di carcere) ci pensano oltre 40mila cyber-poliziotti; sono loro che puntellano quotidianamente la “Grande Muraglia di Fuoco”, un firewall che impedisce di visualizzare pagine web che non abbiano ricevuto l’ok del governo.
La prima guerra al mondo tra un governo ed un portale Internet comincia lo scorso gennaio. Dopo una serie di attacchi informatici provenienti (probabilmente) della Cina, con pirati in cerca di dati sensibili (come le mail di dissidenti) tra i server di almeno venti aziende Itc americane, Google dice basta e promette “A new approach to China”: le ricerche online non verranno più filtrate. L’amministrazione Obama si schiera subito con l’azienda di Mountain View (“Saremo paladini di Internet libero” dichiara Hillary Clinton) mentre il governo cinese replica piccato: “Le aziende straniere devono sottostare alle nostre leggi”. Il 22 marzo, lo switch off: collegandosi con “Google Cina” sottoposto alla censura, i navigatori vengono automaticamente reindirizzati su “Google Hong Kong”, versione in mandarino del motore di ricerca, ma senza alcun filtro.
L’arrocco di Google, e l’indecisione del governo cinese (che potrebbe sempre decidere di oscurare Google Cina) porta ad una situazione di stallo: il 30 giugno, d’altronde, è prevista la scadenza della licenza governativa concessa a Google. Non conoscendo le intenzioni di Pechino, il giorno prima della scadenza della licenza BigG prova l’ennesima mossa del cavallo: elimina il redirecting automatico da Google Cina a Google Hong Kong e l’home page di google.cn diventa così una schermata fissa: si possono utilizzare alcuni servizi come “musica” (molto simile ad iTunes) o “traduzioni” ma non si possono effettuare direttamente ricerche. Per fare questo, bisogna invece cliccare su pulsante che a sua volta manda su Google Hong Kong.
Il compromesso è ingarbugliato: Google non accetta filtri ma si auto-penalizza inserendo un ulteriore passaggio per effettuare ricerche libere. Tenta così di non essere costretta ad abbandonare del tutto il paese. Venerdì, la sorpresa: Pechino rinnova della licenza. Il compromesso, per quanto paradossale, regge.
Rimangono alcuni problemi. Numerosi siti web sono inibiti alla fonte dalla Muraglia Digitale: può capitare di visualizzare dei risultati con una ricerca libera su argomenti sensibili, ma poi la pagina può risultare oscurata. Così come va detto che non sarà indolore la scelta di Google: sul web ogni click ha un costo, e Google negli ultimi sei mesi ha già perso un cinque per cento di mercato (ora è al 30 per cento) sul diretto concorrente Baidu che rispetta alla lettera le indicazioni del governo e raccoglie il 60 per cento delle ricerche online.
Adesso, però, la partita di scacchi, seppur non ha incoronato un vincitore, ha prodotto un risultato. E di fatto sulla libertà d’informazione c’è stata una timidissima apertura del governo di Pechino alle istanze occidentali. Si capirà nei prossimi mesi se il varco aperto nella censura del paese più grande del mondo andrà allargandosi o se verrà nuovamente murato dall’ “approccio cinese” alla democrazia.
Media & Regime
Cina: si apre un buco nella muraglia digitale
Se si vogliono capire tutte le contraddizioni della Cina contemporanea, può risultare molto utile la vicenda Google-Pechino approdata infine ad un compromesso paradossale. Dopo giorni di suspance, venerdì il regime comunista-capitalista ha rinnovato la licenza di Internet Content Provider al motore di ricerca più famoso al mondo. Google, però, nella sua versione cinese sarà diverso dalle analoghe home page nei paesi democratici: disponibili alcuni servizi di base, per le ricerche Internet sarà necessario un ulteriore click verso Google Hong Kong. È questo il prezzo da pagare per non applicare “filtri” della censura alle ricerche degli utenti. Un buco, per quanto piccolo, si è così aperto nella rete cinese. Un buco, va detto, che potrebbe anche essere chiuso a breve.
L’accordo è arrivato dopo una partita tra il governo cinese e BigG durata sei mesi: sulla scacchiera, un diverso approccio alla libertà e alla democrazia, questioni internazionali, strategie economiche, interessi geopolitici.
Google era sbarcato in Cina nel 2006 deciso a non perdere terreno nel paese che, visto il numero di abitanti e la imponente crescita economica, è il più grande mercato web del mondo. Per sbarcare a Pechino, Google aveva accettato di applicare dei filtri alle ricerche Internet dei cittadini locali. Il governo ha sempre rivendicato il suo approccio: “la Cina ha le sue tradizioni culturali e gestisce Internet in accordo con le sue leggi” ha recentemente ribadito il ministro degli esteri Qin Gang.
A controllare le ricerche ritenute lecite, e quelle illecite, a monitorare interesi degli utenti e a segnalare alla polizia i dissidenti mobilitati a favore della democrazia (il più noto è Liu Xiaobo condannato a undici anni di carcere) ci pensano oltre 40mila cyber-poliziotti; sono loro che puntellano quotidianamente la “Grande Muraglia di Fuoco”, un firewall che impedisce di visualizzare pagine web che non abbiano ricevuto l’ok del governo.
La prima guerra al mondo tra un governo ed un portale Internet comincia lo scorso gennaio. Dopo una serie di attacchi informatici provenienti (probabilmente) della Cina, con pirati in cerca di dati sensibili (come le mail di dissidenti) tra i server di almeno venti aziende Itc americane, Google dice basta e promette “A new approach to China”: le ricerche online non verranno più filtrate. L’amministrazione Obama si schiera subito con l’azienda di Mountain View (“Saremo paladini di Internet libero” dichiara Hillary Clinton) mentre il governo cinese replica piccato: “Le aziende straniere devono sottostare alle nostre leggi”. Il 22 marzo, lo switch off: collegandosi con “Google Cina” sottoposto alla censura, i navigatori vengono automaticamente reindirizzati su “Google Hong Kong”, versione in mandarino del motore di ricerca, ma senza alcun filtro.
L’arrocco di Google, e l’indecisione del governo cinese (che potrebbe sempre decidere di oscurare Google Cina) porta ad una situazione di stallo: il 30 giugno, d’altronde, è prevista la scadenza della licenza governativa concessa a Google. Non conoscendo le intenzioni di Pechino, il giorno prima della scadenza della licenza BigG prova l’ennesima mossa del cavallo: elimina il redirecting automatico da Google Cina a Google Hong Kong e l’home page di google.cn diventa così una schermata fissa: si possono utilizzare alcuni servizi come “musica” (molto simile ad iTunes) o “traduzioni” ma non si possono effettuare direttamente ricerche. Per fare questo, bisogna invece cliccare su pulsante che a sua volta manda su Google Hong Kong.
Il compromesso è ingarbugliato: Google non accetta filtri ma si auto-penalizza inserendo un ulteriore passaggio per effettuare ricerche libere. Tenta così di non essere costretta ad abbandonare del tutto il paese. Venerdì, la sorpresa: Pechino rinnova della licenza. Il compromesso, per quanto paradossale, regge.
Rimangono alcuni problemi. Numerosi siti web sono inibiti alla fonte dalla Muraglia Digitale: può capitare di visualizzare dei risultati con una ricerca libera su argomenti sensibili, ma poi la pagina può risultare oscurata. Così come va detto che non sarà indolore la scelta di Google: sul web ogni click ha un costo, e Google negli ultimi sei mesi ha già perso un cinque per cento di mercato (ora è al 30 per cento) sul diretto concorrente Baidu che rispetta alla lettera le indicazioni del governo e raccoglie il 60 per cento delle ricerche online.
Adesso, però, la partita di scacchi, seppur non ha incoronato un vincitore, ha prodotto un risultato. E di fatto sulla libertà d’informazione c’è stata una timidissima apertura del governo di Pechino alle istanze occidentali. Si capirà nei prossimi mesi se il varco aperto nella censura del paese più grande del mondo andrà allargandosi o se verrà nuovamente murato dall’ “approccio cinese” alla democrazia.
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Roma, 1 gen. (Adnkronos) - "Ecco il regalo di inizio anno di Giorgia Meloni e Matteo Salvini: nonostante siano stati bloccati in legge di Bilancio, loro aumentano comunque i pedaggi autostradali dell’1,8%". Lo scrive sui social Raffaella Paita, senatrice e coordinatrice nazionale di Italia Viva.
"E lo fanno in molte parti d’Italia, tra cui Genova e la Liguria, dove la tratta è costantemente rallentata da cantieri di opere che Autostrade per l’Italia deve fare ora perché non li ha fatti in passato! Nuova beffa per cittadini, lavoratori e studenti. Buon Anno dal governo degli aumenti e delle tasse", conclude.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - "Anche volendo è impossibile non vedere spropositata la misura del carcere inflitta a Gianni Alemanno, guarda caso nella notte del 31 dicembre". Così Maurizio Turco e Irene Testa segretario e tesoriere del Partito Radicale.
"È necessario che i parlamentari della Repubblica intervengano con urgenza per riformare una giustizia che produce solo ingiustizia e che fa sempre più paura ai cittadini. Occorre adottare, per quanto istituzionalmente di loro competenza, tutte le misure necessarie volte a disinnescare la bomba ad orologeria che apprendisti artificieri della ‘certezza della pena’ hanno da tempo dolosamente innescato".
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - Oltre 700 persone per il tradizionale tuffo di Capodanno a Viareggio. Come lo scorso anno, a tuffarsi anche il generale Roberto Vannacci, che a vive a Viareggio.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - "La storia non ha insegnato nulla a chi governa l’Italia: ci ritroviamo a dover affrontare costi energetici inaccettabili per imprese e famiglie che ci riportano al 2021-2022 quando l’aumento del prezzo del gas portò alla triplicazione del costo delle bollette realizzando un vero e proprio salasso economico per i settori sociali ed economici più deboli. Il governo è responsabile di questa situazione perché non ha una strategia energetica ed invece di puntare sulle rinnovabili è impegnato a riportare l’Italia nella produzione di nucleare da fissione che porterà a fare pagare l’energia più di quanto la paghiamo oggi". Così Angelo Bonelli parlamentare di Avs e co-portavoce di Europa Verde.
"I dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (World Energy Outlook 2024) definiscono un quadro chiaro; il costo di generazione dell’elettricità – considerando i costi complessivi della costruzione, del funzionamento dell’impianto, dell’investimento per la costruzione, gli oneri finanziari dell’ammortamento del capitale investito, i costi operativi per la durata della vita produttiva dell’impianto, il funzionamento, il combustibile e la manutenzione – prodotta da nuove centrali nucleari in Europa - sarebbe di 170 $/MWh, contro quella generata dal solare fotovoltaico pari a 50 $/MWh (3,4 volte di meno del nucleare), quella dell’eolico onshore di 60 $/MWh (2,8 volte di meno) e quella dell’eolico offshore pari a 70 $/MWh".
"Alle ore 13 di oggi in Italia, secondo quanto riporta il portale di Terna, l’energia elettrica immessa in rete è prodotta per il 53% da rinnovabili. Siccome il governo Meloni non ha voluto separare il prezzo dell’energia prodotta dal gas da quelle delle rinnovabili, che costano meno, il prezzo dell’energia che viene pagato da imprese e famiglie è quello più alto (ovvero con l’energia prodotta dal gas). Questo inverno le bollette saranno le più care di sempre e la responsabilità di questa rapina sociale è del governo Meloni che, con il suo ministro Lollobrigida, ha fermato le rinnovabili consentendo così che anche il 2024 e 2025 saranno gli anni degli utili record delle società energetiche che acquistano, distribuiscono gas con cui producono elettricità", conclude Bonelli.
Roma 1 gen. (Adnkronos) - Sono stati 10 milioni 725 mila 454 gli spettatori che ieri sera hanno assistito in tv al messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in aumento di circa 100mila rispetto allo scorso anno, quando erano stati 10 milioni 647 mila 140. Cresce anche lo share, che passa dal 65,13 per cento al 68,36. Nel dato non sono comprese le visioni tramite web in diretta o differita.
Rimane il record di ascolti per un messaggio di fine anno di Mattarella e in generale di un Capo dello Stato registrato nel 2020, quando con 15 milioni 272 mila 170 spettatori risultò il più visto dal 1986, anno in cui sono iniziate le rilevazioni dell'Auditel.
Cifra superiore ai 15 milioni 15 mila registrati da Oscar Luigi Scalfaro nel 1993; ai 14 milioni 825 mila spettatori di Francesco Cossiga del 1991; e ai 14 milioni 364 mila sempre di Scalfaro del 1992.
Tornando ai raffronti con gli anni precedenti, nel 2015, per il primo messaggio di Mattarella, i telespettatori furono 10 milioni 75 mila 487, con uno share del 56 per cento; nel 2016 10 milioni 60 mila 189 (58,63); nel 2017 9 milioni 700 mila 277 (55,58); nel 2018 10 milioni 525 mila 49 (62,13), nel 2019 10 milioni 121 mila 552 (59,51). Nel 2020 come detto il record di 15 milioni 272 mila 170 (64,95), mentre nel 2021 gli spettatori furono 13 milioni, 541 mila 758, con uno share del 65,94. Infine nel 2022 erano stati 10 milioni 643 mila 452.
Per quanto riguarda il messaggio di ieri sera 5 milioni 41mila 931 telespettatori hanno seguito il messaggio su Raiuno; 470mila 497 su Raidue; 785mila 339 su Raitre; 43mila 412 su Rainews 24, per complessivi 6 milioni 341mila 179 sui canali della tv pubblica.
Per quanto riguarda le emittenti private, 2 milioni 998mila 325 i telespettatori su Canale 5; 328mila 655 su Retequattro; 25mila 310 su Tgcom 24; 860mila 691 su La7; 44mila 987 su Tv2000; 103mila 665 su Sky Tg 24 e 22mila 642 sempre su Sky Tg24 ma digitale, per complessivi 4 milioni 384 mila 275.
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - “Al presidente Mattarella il nostro ringraziamento per aver sottolineato nel suo messaggio di ieri il patriottismo di tanti italiani che si sono distinti. Dai nostri militari alle forze dell'ordine che, sia in Italia che all’estero, proteggono la libertà e la sicurezza. I medici, gli insegnanti, i lavoratori, gli studenti, gli anziani, i volontari, di chiunque, in qualsiasi ruolo, rispetti i principi costituzionali". Lo afferma il presidente dei senatori di Fi, Maurizio Gasparri.
"La crescita dell’occupazione, dell’export e del turismo sono chiari segnali della crescente ‘forza attrattiva’ dell’Italia. È importante poi essere vigili sui rischi del web, sulla violenza che si diffonde attraverso la rete, ma anche dare fiducia ai giovani, tutelandoli però dalla cultura del divertimento a tutti i costi e dalle droghe, sia quelle vecchie che le nuove. L’impegno per la pace, la solidarietà per Cecilia Sala perseguitata in Iran, per gli israeliani rapiti da Hamas, il ruolo della ricerca, le sofferenze derivanti dalle troppe violenze, ma anche il crescente protagonismo delle donne, l’emergenza nelle carceri e molti altri temi sui quali Mattarella invita a riflettere e agire per il bene comune. E tutto questo, sotto il segno del ‘rispetto’, tema dell’anno che il presidente propone come impegno per l’intera Nazione.”
Roma, 1 gen. (Adnkronos) - È durato 17 minuti il messaggio di fine anno di ieri sera del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alzando di poco la media degli anni scorsi, che arriva ai 16 minuti rispetto ai precedenti 15 minuti e 44 secondi, anche se naturalmente con minutaggi diversi.
Il discorso più lungo resta il primo, il 31 dicembre 2015, 20 minuti e 15 secondi, il più breve, 10 minuti e 13 secondi, quello del 2017, seguito dai 13 minuti e 58 secondi del 2020. Nel 2018 si superarono di poco, 21 secondi, i 14 minuti, mentre nel 2019 e nel 2016 ci si fermò, rispettivamente, a 16 minuti e 11 secondi e a 16 minuti e 16 secondi, poco di più rispetto ai 16 minuti del 2022.
Questo il dettaglio: 2015, 20 minuti e 15 secondi; 2016, 16 minuti e 16 secondi; 2017, 10 minuti e 13 secondi; 2018, 14 minuti e 21 secondi; 2019, 16 minuti e 11 secondi; 2020, 13 minuti e 58 secondi; 2021, 15 minuti e 15 secondi, 2022, 16 minuti; 2023, 17 minuti e 49 secondi; 2024, 17 minuti; con una media di 16 minuti.