Con sentenza n. 249 del 5 luglio 2010, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime le norme del c.d. pacchetto sicurezza, che prevedevano un aumento di pena per chi avesse commesso un reato «mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale».
Le norme che, in sostanza, punivano diversamente gli autori dello stesso reato, punendo più gravemente chi era “clandestino”.
L’incostituzionalità di queste norme era apparsa immediatamente evidente e in tanti si erano e ci eravamo spesi per illustrarla e chiedere, come spesso accaduto invano di questi tempi, al Presidente della Repubblica di rimandarle alle Camere con l’invito a riflettere sulla loro evidente e clamorosa illegittimità e, permettetemi l’espressione, “disonestà”.
Norme contemporaneamente illegali (questo è una norma che viola la Costituzione), immorali, razziste, beceramente propagandiste, disoneste.
Nei prossimi giorni proverò a esporre (magari dividendo il ragionamento in diversi articoli, per renderlo più commestibile) le ragioni per le quali uno dei crimini più gravi della politica e della cultura di questi anni sia l’avere fatto sì che il potere in Italia si senta e venga ritenuto padrone e non suddito della legge.
In questi anni di tradimento e assassinio del sogno democratico, del sogno di costruire – dopo l’esperienza del fascismo – un paese davvero fondato sull’uguaglianza dei cittadini e il rispetto dei diritti fondamentali, si è passati dall’idea centrale della rivoluzione francese, per la quale tutti e anche i governanti sono soggetti alla legge, a quella per la quale la legge non è un valore in sé, ma uno strumento e non uno strumento dei popoli, ma uno strumento del potere.
Sicché chi è al potere non è ritenuto obbligato a fare le leggi più giuste possibili, ma può farsi le leggi che vuole e può fare addirittura in modo di non essere neppure soggetto alle leggi da lui stesso fatte.
La negazione assoluta della democrazia e il ritorno ai prìncipi, ai faraoni, a Mussolini e Stalin, a Bokassa.
Contro le sentenze della Corte Costituzionale siamo stati costretti a subire una vergognosa opera di “propaganda” (nel senso più vile e spregevole di questa parola), consistente nel sostenere che le sentenze della Corte sarebbero “politiche”. “Comuniste”.
Sembra tristemente evidente, invece, che le questioni affrontate dalla Corte con le sentenze vilipese non sono né di destra né di sinistra.
La “politica” non c’entra. C’entrano il diritto, la Costituzione, i principi di civiltà comunemente riconosciuti nei paesi cosiddetti civili.
Insomma, discriminare i neri o i clandestini non è essere “di destra”, ma solo, più banalmente e tristemente, essere dei merdosi razzisti.
Come favorire e fare assolvere i criminali solo perché potenti e amici di altri potenti non è “di destra”, ma banalmente criminale.
E ciò che è molto grave e terribilmente nocivo è che le leggi illegittime fatte in questo modo non solo hanno discriminato i neri e gli stranieri e hanno favorito i criminali in colletto bianco, ma hanno creato una cultura e un sentimento popolare molto diffusi, che rendono il nostro Paese un paese razzista e disonesto.
I fenomeni culturali, sociali, economici hanno dinamiche proprie molto forti, a volte anche violente. Il razzismo, i pregiudizi, l’arroganza del potere, la sete di ricchezza a tutti i costi, una volta innescate, non si disinnescano a comando né in tempi brevi. I padroni di questo Paese hanno sparso virus dei quali non hanno l’antidoto. Virus letali che distruggono la verità, i valori, la coesione sociale, il bene comune.
Tornando alla sentenza del 5 luglio, chi ne avrà curiosità potrà leggere l’intera motivazione sul sito della Corte Costituzionale.
Ne riporto qui per tutti uno dei brani centrali.
Ha scritto la Corte:
«4.1. – Questa Corte, in tema di diritti inviolabili, ha dichiarato, in via generale, che essi spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» (sentenza n. 105 del 2001).
La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi, specie nell’ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato.
Il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato», introducendo così una responsabilità penale d’autore «in aperta violazione del principio di offensività […]» (sentenza n. 354 del 2002).
D’altra parte «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero» (sentenza n. 62 del 1994).
Ogni limitazione di diritti fondamentali deve partire dall’assunto che, in presenza di un diritto inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante» (sentenze n. 366 del 1991 e n. 63 del 1994).
La necessità di individuare il rango costituzionale dell’interesse in comparazione, e di constatare altresì l’ineluttabilità della limitazione di un diritto fondamentale, porta alla conseguenza che la norma limitativa deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo sufficiente, ai fini del controllo sul rispetto dell’art. 3 Cost., l’accertamento della sua non manifesta irragionevolezza (sentenza n. 393 del 2006).
4.2. – Con riferimento al caso specifico, si deve ricordare che le «condizioni personali e sociali» fanno parte dei sette parametri esplicitamente menzionati dal primo comma dell’art. 3 Cost., quali divieti direttamente espressi dalla Carta costituzionale, che rendono indispensabile uno scrutinio stretto delle fattispecie sospettate di violare o derogare all’assoluta irrilevanza delle “qualità” elencate dalla norma costituzionale ai fini della diversificazione delle discipline».