Caro Silvio,
ti scrivo questa lettera perché non so quanto tempo mi resti ancora, prima di perdere ogni speranza nelle istituzioni.

Forse mi sono montato la testa, magari sono un illuso anche solo a credere che tu possa non dico rispondermi, ma almeno tenermi sulla tua scrivania per pochi istanti, tra un vertice e un’intervista a reti unificate…

In questi anni mi sono inventato una rete (http://www.comunivirtuosi.org/), in compagnia di buoni amici, che mette insieme il meglio delle esperienze di buon senso sperimentate nelle istituzioni oggi in Italia.

Ho attraversato i fatti di Genova come tanti altri, incredulo e arrabbiato e offeso come tanti altri.

Ho scritto e letto di esempi concreti, buone prassi, persone incredibili e idee brillanti, fuori e dentro al palazzo, fuori e dentro le istituzioni, fuori e dentro la politica.

Ho pianto, alle stragi di Mafia e di (forse) parte dello Stato, mi sono indignato e rialzato perché c’era bisogno anche di questo, per ripartire.

Ho visto la trasformazione che ha attraversato la nostra società dei consumi, alla quale in Italia un gran contributo hai portato proprio tu, con le tue televisioni.

Il consumo senza limiti, la leggerezza, l’individualismo fatto a paradigma, l’intolleranza verso il diverso…

Ho riso, di un riso amaro e stretto, al declino della prima repubblica e allo squallore sprezzante della cosiddetta seconda.

Ho inveito a certi ometti della tua parte avversa, che sarebbe poi la mia parte amica, all’enorme ritardo culturale di una classe dirigente che sa solo contrapporre un male minore, un compromesso, un “sano” senso di colpa nel mandar giù la pillola suicida di questo stile di vita insostenibile.

Mi sono commosso, ad ogni angolo di strada che ha messo in scena persone “semplicemente” oneste, per bene, rispettose delle regole e nemiche del sotterfugio, della scorciatoia, dell’egoismo. 

Ho gioito, per la fortuna di aver intrapreso un viaggio strano, fatto di migliaia di incontri, strette di mano, parole, sguardi, dove per ognuna di quelle parole, incontri, strette di mano e sguardi io ero la spugna, che assorbiva senso, ideali, nostalgia del futuro…

Quante lettere aperte ho scritto in questi anni, ho perso il conto: Prodi, Napolitano, Bersani, D’Alema… A tutti davo del Lei, come forma di rispetto e di distanza, in fondo.

A te invece parlo diretto, con il tu, forse perché trasmetti un’umanità per alcuni fastidiosa per altri amica: sicuramente diretta, verrebbe da dire “schietta” se non fossi proprio tu…

Però dopo le botte ai terremotati, e alle rappresentazioni di certi media il giorno dopo, dopo la finanziaria annunciata ormai mille volte in mille forme diverse (con l’unico dato certo e incontrovertibile di un ennesimo taglio netto agli enti locali, alla faccia di 15 anni di proclami su federalismo e decentramento), dopo i programmi nucleari e l’alta velocità, dopo Scajola e Brancher e Verdini, dopo Alitalia e Milano 4 e chissà quali altre diavolerie mi devi proprio scusare.

Ma io non ce la faccio più, no davvero. E allora ti scrivo, come atto estremo di “fede” nelle Istituzioni, che tu rappresenti appieno. Sei il mio Presidente del Consiglio di questa Magica Italia…

Sei l’uomo che ha scritto un pezzo forse non leggendario, che probabilmente non entrerà nella storia della canzone italiana (o napoletana), ma che ho trovato pieno di sincera passione…

Non sei un mosto, come spesso sei stato dipinto, ma un uomo. Semplicemente.

E con la stessa semplicità, da uomo a uomo, ti chiedo vivamente di lasciare il campo ad altri, di fare un passo indietro dalle Istituzioni, dalle quali ogni giorno che passa (in questi giorni che si respira aria da fine impero) mi sento un passo più lontano…

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