In tempi di cricche e di logge massoniche o para-massoniche deviate, il Paese per uscire dal fango ha bisogno di segnali. Il livello – bassissimo – con cui viene amministrata la cosa pubblica è sotto gli occhi di tutti. E ormai, persino gli indagati e i carcerati, non nascondono più quello che accade. Per accorgersene basta dare un’occhiata a Il Giornale di domenica che riporta il racconto del coordinatore del Pdl, Denis Verdini, sui suoi rapporti con Flavio Carboni. Cioè con il faccendiere piduista impegnato a fare affari nel mondo dell’energia eolica, presentato a Verdini da Marcello Dell’Utri.
Verdini, senza il minimo imbarazzo, ammette di aver sponsorizzato la nomina a big boss di Arpa Sardegna (l’agenzia per l’ambiente) di Ignazio Farris solo perché il favore gli era stato chiesto da Carboni che aveva dato “una mano nella campagna elettorale di Cappellacci (Ugo, attuale governatore sardo ndr)”. Conferma che il suo quotidiano, Il Giornale della Toscana, ha ricevuto grosse somme di denaro dal pluri-pregiudicato amico di Marcello. E si giustifica dicendo che in fondo Carboni era pure stato amico dell’ex-editore di Repubblica, Carlo Caracciolo.
Ancor meglio fa Carboni. Chiuso nella sua cella il settantottenne piduista parla con un parlamentare e, secondo il Corriere della Sera – che nasconde la notizia nelle ultime righe di un pezzo pubblicato sabato a pagina 17 – dice: “Sono io che ho coperto la testa di Silvio Berlusconi. Io che gli ho dato anche una delle case dove sta (villa La Certosa ndr)”.
I messaggi insomma viaggiano ormai a livello di “utlilizzatore finale”. E in attesa che il film horror arrivi ai titoli di coda è forse arrivato il momento di chiedersi cosa fare per costruire il dopo. In ballo infatti non ci sono più solo le finanze di un Paese messo in ginocchio dai 60 miliardi che la corruzione sottrae ogni anno dalle casse dello Stato. In gioco c’è pure il tessuto sociale italiano.
Per questo oggi va recuperato il valore dell’esempio. E un primo passo in questa direzione lo deve fare la magistratura: uno dei poteri dello Stato che la nuova P2 cercava d’infiltrare. Non tanto indagando o (se è il caso) arrestando. Ma dimostrando coi fatti che anche in Italia ci sono categoria in cui i comportamenti virtuosi hanno un valore. Per questo due prese di posizione s’impongo.
La prima: le dimissioni di Alfonso Marra da presidente della Corte d’Appello di Milano.
Le intercettazioni tra lui e il confratello di Carboni, Pasquale Lombardi, che riportiamo nel nostro sito, sono inequivocabili. Marra ha brigato con Lombardi per ottenere la nomina da parte del Csm alla poltrona che ora occupa. E poco importa che non sapesse di come Carboni e Lombardi fossero una cosa sola. O che le successive richieste di favori (in una causa riguardante la lista Formigoni) siano state respinte al mittente. Su un magistrato che occupa una posizione così importante non vi possono essere dubbi di sorta. Marra dunque deve farsi da parte. E i suoi colleghi hanno il compito di spingerlo a questa decisione.
La vicenda della nuova P2 e di questo fantomatico “centro studi giuridici” di Lombardi che metteva in piedi (a spese di chi?) incontri tra magistrati in lussuosi e costosi alberghi italiani, è emblematica. Queste iniziative servivano infatti per tentare di agganciare le toghe. Certo, poi, tra i convegnisti la maggior parte era di fatto inavvicinabile. Ma il punto è un altro: chiedersi chi paga, per i giudici (ma non solo per loro) deve diventare un obbligo.
In Italia i tempi del cambiamento si stanno avvicinando a grandi passi. La nostra classe dirigente scricchiola sempre più paurosamente. Ora però c’è una società da ricostruire. E bisogna farlo dal basso. Partendo non dalle manette, ma dagli esempi. Altrimenti i Verdini e i Dell’Utri rimarranno sempre al loro posto. E nessuno potrà dir loro che hanno davvero torto.