I magistrati non possono appartenere ad associazioni segrete o con vincoli di obbedienza: è la legge a prevederlo. Quella stessa legge che ha disposto lo scioglimento, molti anni addietro, della loggia massonica “P2”. Fu un’esperienza dolorosa per la magistratura, che scoprì di avere al suo interno toghe che, dopo aver prestato giuramento ai valori costituzionali, si riunivano in un sodalizio che aveva un programma definito da molti di eversione democratica, con grandi interessi economici, sul quale vi è stata una commissione di inchiesta parlamentare, ma che poi la stessa magistratura ha definito come associazione sostanzialmente di tipo commerciale, chiudendo così il processo su uno degli eventi più preoccupanti della storia repubblicana. Ma oggi cosa è rimasto di quella brutta esperienza? Come si applica in concreto questa legge? C’è una efficace forma di prevenzione?
Il problema, in queste considerazioni, è limitato alla disciplina della magistratura amministrativa. Quella stessa magistratura che, come detto, giudica sugli appalti, sulle grandi opere, sulla pianificazione urbanistica, sull’ambiente. Sulla economia del Paese, insomma. Ma anche sulle elezioni politiche locali, e sulle carriere dei prefetti, dei professori universitari, dei diplomatici, dei militari, ed anche degli stessi magistrati, cioè su tutte le carriere che condizionano la vita del Paese. E’ ovvio che un simile potere necessita di un controllo autonomo ed indipendente, che è infatti esercitato dall’organo di autogoverno. E’ altrettanto scontato che, con i tempi che corrono, una delle principali preoccupazioni dovrebbe essere quella di verificare che non esistano contiguità con comitati di affari di qualsivoglia genere, specie se legati ad associazione segrete o con vincolo di obbedienza (è di pochi mesi fa, ad esempio, la notizia di un sodalizio simile, che ha coinvolto magistrati ordinari nel meridione di Italia). È quindi logico che la disciplina prevista dalla legge debba trovare nel concreto una rigida forma di applicazione, ed assicurare un controllo e delle verifiche periodiche in grado di garantire una trasparenza ed una efficienza esemplari, anche perché si tratta di magistrati, che, per definizione, devono avere un’impeccabile condotta di vita, specie nelle relazioni con terzi.
Il divieto, come detto, esiste, per espressa previsione normativa. C’è anche una delibera del C.P.G.A. (Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, cioè il CSM dei giudici del TAR e del Consiglio di Stato, per intenderci) che lo ribadisce. Ma, in concreto, a che tipo di controllo sono sottoposti i magistrati amministrativi? Nessuno, per ora. Non vi è infatti alcun meccanismo di verifica periodica, né (quantomeno) un obbligo di dichiarazione di non appartenenza. Sarebbe certo poca cosa, ma esporrebbe almeno il dichiarante il falso ad un processo penale. E invece neanche questo è attualmente previsto.
Ad onor del vero, va detto che se ne è parlato molto nelle ultime elezioni del C.P.G.A. e sostanzialmente tutti i candidati (eletti e non eletti) e moltissimi magistrati amministrativi concordavano con me (che ne ero il promotore) sulla opportunità di una qualche forma di controllo, ma ad un anno dall’insediamento, la promessa elettorale non è stata mantenuta (tale inadempienza è stata più volte sottolineata ai colleghi , sempre dal sottoscritto).
Alcuni mesi fa scrivevo dalle pagine di un quotidiano “Che si debba attendere un altro scandalo “P2” per intervenire?”.
Ecco, adesso si adombra un possibile scandalo P3, ma i miei colleghi di campagna elettorale (i giudici del TAR Umberto Maiello, Luca Cestaro, Cesare Mastrocola, Fabio Mattei, Antonio Plaisant, Roberto Pupilella, Vincenzo Blanda), allora formalmente impegnatisi con i colleghi in una campagna di trasparenza, ed i Consiglieri di Stato eletti (Luciano Barra Caracciolo, Sabino Luce, Vito Poli, Siracusa) non risultano ancora aver preso provvedimenti.
Anzi, almeno uno si.
Il sottoscritto, infatti, ha segnalato all’organo di autogoverno – per gli eventuali accertamenti – che su un quotidiano era apparso il nome di alcuni colleghi come presunti appartenenti alla massoneria. Risultato? La seconda commissione (presieduta dal prof. Nicolo’ Zanon e di cui facevao parte alcuni dei colleghi citati) ha disposto l’apertura di una pratica disciplinare (l’azione non è stata poi esercitata) nei confronti del sottoscritto in virtù della predetta segnalazione, mentre non risulta adottato alcuno strumento ulteriore e generalizzato di verifica delle possibili appartenenze ad associazioni segrete o con vincolo di obbedienza da parte di magistrati.