E se il modello di organizzazione culturale fosse lì a portata di mano e non lo si volesse proprio vedere? Non c’è già un filo ben teso a riva dello tsunami in corso sulle coste della produzione e del dialogo tra arte e società in Italia e più in generale nell’occidente dei teatri e dei festival letterari? Non vivono forse con una impronta necessaria e autentica le comunità che si riconoscono nei “propri” festival a Castrovillari in Calabria ai primi di giugno, a Gavoi in Barbagia la settimana scorsa, a Sant’Arcangelo di Romagna fino al 18 luglio, poi a Volterra, Sansepolcro, Trento, Mantova, Cividale, Pordenone?

Se tracciassimo un ponte tra questi luoghi e la tensione che rappresentano verso quella parte di inferno che inferno non è disporremmo forse di una piattaforma di partenza, di ripartenza? In fondo sono realtà che vanno avanti da diverso tempo – chi venti, chi sette, chi quaranta anni – e hanno già rinnovato e ampliato la loro base di partecipazione sia a livello ideativo sia di pubblico, hanno dimostrato che con poco (denaro, tempo, spazio) si possono fare grandi cose… e soprattutto sono la prova indiscutibile CHE NON E’ VERO che “di queste cose” (teatro di ricerca fatto in gran parte da giovani artisti) non frega niente a nessuno! Camminando nelle vie di Sant’Arcangelo di Romagna e sostando a Piazza Ganganelli in questi fine settimana della quarantesima edizione del Festival Internazionale del Teatro in piazza non si smette di ripetere “guarda quanta gente”! C’è la famigliola con le ciocie che sale dalla spiaggia, lo straniero in viaggio culturale, bande di ragazzi sparse e teatro che succede ovunque, agli angoli, nelle vetrine, sulle finestre, nelle grotte, nello stadio, nei lavatoi e nelle corderie tra gommoni in rimessaggio e bancarelle con ogni ben di Dio. A dirigere la quarantesima edizione di un Festival che sta già nel dna impazzito del teatro contemporaneo c’è Enrico Casagrande, che insieme a Daniela Nicolò formano i Motus, una delle tribù artistiche romagnole tra le migliori, che proprio in questo festival si è fatta conoscere prima e durante i suoi giri europei.

Ed è significativo che il progetto del Festival sia stato affidato per tre anni, tre movimenti di un’unica volontà, a tre artisti che hanno un analogo rapporto di appartenenza con questi giorni in queste strade, per averle avute già negli anni come palcoscenico, conoscerne le insidie, il calore e il confronto di cui sono capaci. E a collaborare sono i critici giovani letteralmente cresciuti qui: Cristina Ventrucci, Rodolfo Sacchettini, Silvia Bottiroli. Lo scorso anno è stata Chiara Guidi della Raffaello Sanzio a guidare una sorta di opera festival dedicato alla voce, quest’anno è Casagrande dei Motus a riportare in paese la grande ricchezza di relazioni internazionali sviluppate in anni di lavoro più fuori che nel nostro, loro, paese stabilendo un asse che corre diretto tra il pubblico e la performance, sempre nel segno della partecipazione; e l’anno prossimo toccherà a Ermanna Montanari delle Albe. Così, come succede solo da queste parti, il massimo della solidarietà sorridente della provincia agricola e la punta lancinante dell’avanguardia post-umana si incontrano e convivono. Sabato erano migliaia le persone ad affluire e partecipare a un programma senza nulla di scontato. Mentre alle 19 Nicola Lagioia mitragliava le sue parole tra i tavoli dello storico ristorante Zaghini, dalle fettuccine felliniane, tra le pietre pulite della piazza appena fuori dei portici centinaia di spettatori partecipavano alla performance di Roger Bernat Domini Pùblic: la cuffia in testa si rispondeva a domande con gesti e spostamenti (tipo: se credi che non avere figli sia un regalo per l’umanità, spostati al centro… credi che cambiare prospettiva aiuti a cambiare idea? Allontanati… Ricordi cosa hai pensato dopo la prima volta? Metti le mani sulla testa… Hai un parente in esilio? Vai a teatro per incontrare persone come te?… eccetera).

In questo modo si dava vita a una coreografia collettiva i cui spostamenti erano risposte nella nostra testa, veritiere, ambigue, comunque senza possibile percezione per chi nella piazza intanto era a prendere un gelato o una birra. In fondo come la vita. E correre alle 21 alla sala teatrale del Lavatoio dove l’argentino Daniel Veronese metteva in scena il suo Todos los gobiernos han evitado el teatro intimo con i personaggi che vivono in una scenografia teatrale naturalistica, in un rapporto di crisi da scontare insieme al pubblico, tirando avanti trame improbabili quanto atroci, in un’aria comune con il teatro di Spregelburd, forse senza la sua potenza combinatoria ma sempre nel cuore di una possibilità, quella che ha il teatro di svolgersi a dispetto del potere, come succedeva al presente nelle strade di Sant’Arcangelo, dove bambini e adulti assistevano stupefatti a lotte nel fango o favole raccontate negli antri, urlatori da apocalisse commerciale e piccoli talenti appassionati fino all’incredibile di dire qualcosa a tutti senza preavviso, negli appuntamenti dilaganti della rassegna Esc, il fringe di Sant’Arcangelo, dove la sfida di danzatori, architetti, musicisti, fabbri, disegnatori è quella di aver fiducia che il proprio segno artistico riesca a sfidare l’attenzione intermittente del passante. Per “chiudere” la serata alle 24 nel nudo garage della Corderia: mezz’ora violenta, frontale, concertata per una FINE da Babilonia Teatri, This is the End My Only Friend the End… Sì è la fine, ma è anche l’unico principio concreto. É qui pronto con le persone per farlo. Provare per credere: giovedì, venerdì, sabato e domenica prossimi, come recita lo slogan del Fesival: partecipa anche tu, se hai coraggio!

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Pensiero unico editoriale

next
Articolo Successivo

Che fine faranno i libri?

next