Difficile giudicare, per adesso bisogna accontentarsi dei rendering. Che però qualcosa dicono: ecco sei grandi parallelepipedi colorati che ospiteranno i reparti, poi una torre, altri tre edifici di forma rettangolare e tre circolari dove saranno ospitate le residenze per i parenti dei malati. Un progetto curato, non c’è dubbio, ma anche l’impatto sul paesaggio è evidente. Soprattutto, il Cerba sposta ancora avanti il confine della città. È questo il timore: che dietro il cavallo di Troia del Cerba poi arrivino altri palazzi, altre residenze, altre infrastrutture. A quel punto la battaglia per salvare il Parco Sud rischierebbe di essere definitivamente persa.

E qui ecco le domande che tanti a Milano si fanno, anche se sottovoce, dato che il Cerba resta comunque una realizzazione importante: perché sono stati scelti proprio i terreni di Ligresti per realizzare in una zona vincolata il megacomplesso? E ancora: non era proprio possibile farlo altrove?

«Il Parco della medicina […] non potrebbe trovare collocazione altrove» si legge nelle Linee generali di intervento presentate dal Comune. Ma proprio questo punto è contestato dalle associazioni ambientaliste: «È un’affermazione apodittica. Al contrario, posto l’incontestato valore ambientale del parco e la disciplina che ne regolamenta la gestione, la localizzazione delle opere avrebbe dovuto costituire oggetto di attenta valutazione e ponderazione degli interessi in gioco».

Delicato mettere in discussione un’operazione che avrà benefici per la salute. Così come risulta spinoso sollevare questioni di opportunità quando di mezzo c’è un personaggio come Umberto Veronesi, che alla scienza e alla ricerca sul cancro ha dato tanto.

Eppure forse il padre dell’Ieo e del Cerba, cresciuto sui territori di Ligresti, dovrebbe spiegare perché ha scelto i terreni di un costruttore con cui condivide interessi imprenditoriali. Veronesi infatti, secondo le visure camerali, è stato fino al 2007 membro del consiglio di amministrazione di Genextra, una società specializzata nello sviluppo delle biotecnologie che raccoglie tutti i nomi della Milano che conta, nonché di una fetta del mondo dell’imprenditoria del mattone e dalla sanità privata. Non solo: la Fondazione Umberto Veronesi e l’Istituto europeo di oncologia Srl, ci dicono le visure, sono ancora azionisti di Genextra. Niente di male, ovviamente, ma il capitale sociale è così suddiviso: Intesa San Paolo (9,34 per cento), Marco Tronchetti Provera (4,37 per cento), Caltagirone Bellavista, Montezemolo e Della Valle (2,92 per cento ciascuno), Ligresti, Toti e Angelucci (tutti al 4,37 per cento) e gli istituti Interbanca e Banca Popolare di Milano (anch’essi 4,37 per cento). Insomma, della Genextra fanno parte banche che sono anche nella fondazione Cerba, diverse famiglie di immobiliaristi e soprattutto il solito Ligresti. Già, Genextra e la Fondazione Cerba hanno tanti nomi in comune.

In fondo, però, non c’è poi nemmeno troppo da sorprendersi, vista la situazione stagnante del capitalismo italiano e di quello lombardo in particolare. Qualcuno, poi, potrebbe sovrapporre una ulteriore lista, quella dei soci della cordata Alitalia, dove ritroviamo Intesa San Paolo, Caltagirone Bellavista (che, per inciso, ha coperto le coste di mezza Italia con i suoi porticcioli) e appunto, Ligresti. Tanto che qualcuno in quell’occasione ha messo in relazione le due operazioni: Alitalia e Cerba – Parco Sud. «Viene il dubbio che Ligresti, sostenendo l’operazione voluta da Berlusconi per salvare la compagnia di bandiera, sperasse di garantirsi la gratitudine delle giunte di centrodestra che devono dare il via libera a tutte le operazioni immobiliari sui terreni agricoli a sud di Milano» sostengono i difensori del parco. Niente di illecito, ma anche il dubbio – se basato sui fatti – è legittimo.

Insomma, ritorna in mente la domanda delle associazioni ambientaliste milanesi: ma davvero il Cerba non si poteva collocare fuori dalle terre di Ligresti? Lui non ha dubbi e taglia corto: «Evitiamo di dire che si fa una speculazione edilizia. Le aziende per sopravvivere devono guadagnare. Non siamo la Banca d’Italia, che stampa soldi». FINE

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Da “La Colata”
Milano: Ligresti alla conquista del Parco Sud

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