Buona parte dei crediti di emissione acquisiti da Enel è legata allo smantellamento di gas industriali in Cina. Sui quali le Nazioni Unite chiedono ora di fare chiarezza
Nel 2009 la centrale termoelettrica Enel a Montalto di Castro (VT) ha emesso un milione di tonnellate di CO2. Si sono disperse nell’atmosfera, ma, da un punto di vista contabile, è come se non ci fossero mai state. Enel le ha infatti compensate interamente, investendo in un progetto che prevede la distruzione di tonnellate di Hfc-23, un potentissimo gas serra, da parte della Limin Chemical Co., una società chimica cinese. L’investimento ha permesso ad Enel di acquisire un milione circa di CER (Certified Emission Reductions) o crediti di emissione generati nei paesi in via di sviluppo. In pratica Enel ha sostenuto un progetto di riduzione di CO2 in Cina per poter emettere CO2 a Montalto. E’ il cosiddetto Clean Development Mechanism (CDM), previsto dall’articolo 12 del protocollo di Kyoto e controllato dalle Nazioni Unite.
Oltre ad Enel lo usano decine di altre compagnie, come le tedesche Salzgitter, RWE Power, la svedese Vattenfall, o la polacca PGE Elektrownia. Secondo quanto riportato questa settimana da Sandbag, un gruppo ambientalista con sede a Londra specializzato nel mercato delle emissioni, le società industriali ed energetiche europee hanno speso almeno 860 milioni di euro nel 2009 per comprare “permessi di inquinare” dai paesi in via di sviluppo. Anche perché i CER costano meno rispetto alle quote di emissione europee (EUA), assegnate direttamente dai governi e scambiate tra le imprese.
Il 59% dei crediti di emissione CER – spiega Sandbag in un rapporto – deriva da progetti per l’incenerimento del famigerato gas Hfc-23, sottoprodotto (indesiderato) dell’Hcfc-22, un refrigerante contenuto nei condizionatori e nei frigoriferi. Per CDM Watch, una coalizione di Ong che vigila sul Clean Development Mechanism, “è uno scandalo”. Prima di tutto perché le compagnie europee pagherebbero per la distruzione dell’Hfc-23 “65-75 volte in più rispetto al vero costo di smantellamento”. E poi perché ci sarebbero “prove schiaccianti” del fatto che le imprese (cinesi e indiane) starebbero manipolando il sistema di compensazione, “producendo maggiori quantità di gas serra pericolosi in modo da essere pagate di più per distruggerli”, spiega CDM Watch in un comunicato stampa. Particolare non trascurabile, lo stato cinese applica una tassa del 65% sulla vendita di crediti di emissione da progetti sull’Hfc-23. Alla fine, quindi, sembra che ci siano guadagni per tutti, tranne che per l’ambiente.
Ma forse non per molto. O almeno questo è ciò che si augura CDM Watch: “se le Nazioni Unite vogliono ristabilire la serietà del meccanismo CDM, dovranno cessare immediatamente l’assegnazione di crediti di emissione basati sull’Hfc-23”, ha dichiarato la direttrice Eva Filzmoser. “Si potrà riprendere solo dopo che sarà stata effettuata un’indagine che porti a una revisione della metodologia di assegnazione”.
Intanto dall’Onu arrivano segnali confortanti. Alla fine di giugno Clifford Mahlung, presidente del CDM Executive Board, ha fatto sapere che “la metodologia potrebbe essere rivista se le irregolarità saranno confermate”. Il processo di revisione potrebbe essere completato già in agosto.
E mentre gli industriali delle energie rinnovabili fanno il tifo per nuove regole, che “sposterebbero gli investimenti dove ce n’è veramente bisogno”, Enel e Deutsche Bank, tra i maggiori sostenitori dei progetti sull’Hfc-23, corrono ai ripari intensificando le attività di lobby sull’Unione Europea. “I progetti sono stati approvati con effetti fino al 2014”, ha dichiarato Giuseppe Deodati, risk manager di Enel Trade, in un’intervista a Business Week. “Dobbiamo evitare qualsiasi tipo di cambio retroattivo delle regole altrimenti potrebbe venir meno la fiducia delle imprese, necessaria per far funzionare correttamente i mercati delle emissioni in futuro”.
Ma la retroattività di eventuali nuove regole sembra essere improbabile. “Fino al 2012 gli impatti sul mercato delle emissioni saranno minimi”, ha spiegato Urs Brodmann di First Climate, una società finanziaria che gestisce crediti di emissione. “Il CDM Executive Board dell’ONU segue un principio fondamentale: le metodologie non possono essere cambiate retroattivamente per progetti che sono già stati registrati.
I cittadini di Montalto di Castro possono quindi dormire sonni tranquilli. Dall’altra parte del mondo, in un’oscura industria cinese, c’è qualcuno che sta lavorando (e continuerà a lavorare) per loro.