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Battaglia tra Obama e l’Arizona sull’immigrazione

Mentre Obama lavora alla storica normativa sull'immigrazione a livello federale, l'Ariziona approva norme incostituzionali e razziste

Sarà una battaglia senza esclusione di colpi quella fra il governo federale e lo stato dell’Arizona. Pochi mesi fa, l’Arizona ha approvato una legge sull’immigrazione restrittiva e contraria ai principi fondamentali della libertà individuale. Barack Obama, che ha appena fatto passare la nuova disciplina sulle banche, si appresta ora a lavorare sullo storico progetto di riforma dell’immigrazione, che darebbe la possibilità a circa 11 milioni di clandestini di regolare la  propria posizione, acquistando lo status di cittadini. Lo Stato dell’Arizona si muove invece in direzione contraria e continua, imperterrito, a costruire barricate e a cercare alleanze per salvare la sua normativa “anti immigrato”.

Disciplina che il governo federale intende far dichiarare contraria incostituzionale per raggiungere un duplice fine: bloccare definitivamente l’applicazione delle norme in Arizona e, nello stesso tempo, scoraggiare altri stati che manifestino interesse a imitare la scelta normativa. A differenza di quanto previsto negli altri Stati americani, in Arizona, con l’entrata in vigore del provvedimento, le forze di polizia sarebbero autorizzate, sulla base di “un legittimo sospetto” a chiedere a uno straniero, in qualsiasi momento, i documenti dell’immigrazione che ne attestino la legalità. Poiché l’Arizona è uno degli stati più soggetti all’immigrazione messicana, è facile comprendere come il provvedimento si trasformerà ben presto in uno strumento di discriminazione razziale. Inutile dire che sin dal giorno dell’approvazione, molti immigrati hanno abbandonato lo Stato per timore delle conseguenze e anche perché le loro vite hanno perso qualsiasi tipo di protezione.

Ad esempio, ci sono tante associazioni che aiutano le donne clandestine a denunciare stupri e maltrattamenti che molte lavoratrici immigrate sono ora costrette a subire senza potersi ribellare, nel timore di venire rispedite a casa. Tanto per essere chiari, in un qualsiasi altro Stato americano se qualcuno sporge una denuncia alla polizia, le forze dell’ordine non sono autorizzate a chiedere il permesso di soggiorno, che resta un accertamento esclusivo del settore sull’immigrazione. “Noi difendiamo i cittadini dal crimine – precisa un agente della polizia di New York – qualsiasi sia la loro condizione, che non deve riguardarci”.

Purtroppo, nonostante l’opposizione subito manifestata dal presidente Obama, molti sostenitori, anche di altri Stati, stanno contribuendo alla raccolta fondi organizzata dal governatore  dell’Arizona, Jan Brewer, per pagare la battaglia legale sulla legge. Il governatore sa bene che i costi del processo contro il governo federale saranno elevatissimi, soprattutto se il dibattimento giungerà alla Corte Suprema. Proprio ieri, poi, altri nove stati, Virginia, Michigan, Pennsylvania, Alabama, Florida, Nebranska, South Carolina, South Dakota e Texas hanno deciso di schierarsi a fianco della Brewer nella battaglia contro Washington. Se i repubblicani, però, a ridosso delle elezioni di “mezzo termine” del prossimo novembre, provano ad aumentare le loro quotazioni strumentalizzando il vecchio ma mai dimenticato spauracchio dell’immigrato “invasore”, utile soprattutto in periodi di crisi economica, gran parte della società “civile” si e’ mobilitata per far sentire la propria voce. Dalla California allo Stato di New York, la raccolta di fondi per aiutare gli immigrati colpiti dal provvedimento e per dire no ad una legge che contrasta con i principi fondamentali del Paese, fortunatamente non si arresta.