Cultura

Il sangue gay e la società che vogliamo

L’Argentina autorizza le unioni omosessuali, primo paese dell’America Latina a farlo, decimo nel mondo . Noi no. Anzi, da noi alcuni ospedali, il più recente è il Gaetano Pini di Milano, hanno dichiarato di non accettare sangue da uomini dichiaratamente omosessuali. Sangue gay, mai e poi mai. Naturalmente hanno ragione Paola Concia, Livia Turco e Rosaria Iardino: il provvedimento sancisce una discriminazione in palese antitesi con la costituzione, che nessun fondamento scientifico è in grado di giustificare. Come ho scritto recentemente per l’Espresso, non sono certo un difensore della famiglia cosiddetta naturale, piena di seconde mogli e tradimenti. È dunque giusto ricordare che il rifiuto del sangue gay si accompagna alla tolleranza per il sangue etero di chi, magari in barba ai questionari sottoscritti prima delle donazioni, ha rapporti non protetti di ogni tipo, frequenta prostitute e prostituti, ecc. C’è però anche un’altra questione della quale occorrerebbe tenere conto.

Nel 1970, Richard Titmuss, scienziato sociale del welfare state, per così dire, scriveva un fortunato libro, The Gift Relationship, sul dono del sangue. Titmuss sosteneva che il sistema di dono del sangue vigente in Gran Bretagna fosse superiore, anche economicamente, a quello americano, che invece prevedeva la libera vendita del sangue. Al di là dei dati e delle argomentazioni tecnico-economiche, Titmuss si scagliava contro il sistema di commercializzazione del sangue sostenendo che il libero mercato avrebbe “eroso il senso di comunità” promosso invece dal dono del sangue, e che – contrariamente a quanto penserebbe un economista doc – avrebbe limitato la libertà di scelta di chi offre sangue (un donatore non dona, in un sistema nel quale la regola è il commercio). Il libro suscitò ampie polemiche: l’economista Kenneth Arrow, premio Nobel per l’Economia 1972, intervenne criticando Titmuss per sottolineare come il meccanismo di mercato sia di fatto da apprezzare proprio perché aumenta le possibilità di scelta (si pensi al dibattito sulle economie un tempo pianificate del blocco sovietico). L’altruismo è una risorsa scarsa: laddove è possibile, meglio contare sul sistema di prezzi e sulla legge della domanda e dell’offerta. Alla recensione di Arrow fece seguito quella del bioetico Peter Singer (che non smise mai di far riferimento, nelle sue opere di maggior successo, al libro si Titmuss), secondo il quale Titmuss aveva correttamente posto un problema di enorme significato: lo scontro tra sistema di dono e sistema di commercializzazione non avviene tanto sul piano dell’efficienza economica e su quello della sicurezza delle trasfusioni (certo, l’affaire du sang era ancora da venire), spiegava Singer.

La vera posta in gioco era: che tipo di società vogliamo? Una nella quale il senso di comunità è sacrificato sull’altare di una presunta maggiore libertà (intesa in senso economico), o una che invece lo promuove proprio stimolando la libertà del cittadino di compiere una scelta, quella di donare il proprio sangue, e dunque di segnalare la volontà di partecipare a una comunità solidale anziché a un mercato che risparmia l’altruismo?

Tutto ciò per dire che la questione del sangue gay non è solo un problema di maggiore o minore sicurezza sanitaria. Per certi versi, quella di oggi è una riproposizione dell’antico dibattito, anche se ben più sgradevole. A meno che siano disponibili – cosa della quale, come detto, dubitiamo fortemente – dati che dimostrano inequivocabilmente la “superiorità”, in termini di sicurezza, del sangue etero (e anche in questo caso il problema rimarrebbe), non sarebbe il caso di riflettere sulla restrizione di un diritto, il diritto dei gay a donare sangue, e a manifestare la loro scelta per una società solidale e tollerante? Il Gabriele che ha segnalato il caso, vedendo rifiutato l’offerta del proprio sangue, esprime in fondo il disappunto per la limitazione del suo diritto a donare. E con tutta probabilità, ogni donatore, gay o etero, sente oggi come Gabriele, che il tipo di società verso la quale stiamo andando non è quella alla quale vorremmo partecipare.