Per quasi un decennio la cosca degli Arena ha riciclato e investito miliardi sporchi tra l’Emilia e il Canton Ticino grazie a una cricca di colletti bianchi con coperture persino nella magistratura svizzera. Un sistema che si pensava così intoccabile da non esitare a rompere la strategia del silenzio, facendo saltare in aria con una bomba l’Agenzia delle Entrate di Sassuolo, per poi continuare a mafiare come nulla fosse. La potente ‘ndrina di Isola di Capo Rizzuto, nota per aver organizzato i brogli elettorali in favore dell’ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo, aveva una colonia insospettabile nella motor valley. Società di informatica, titolari giovani e incensurati, Ferrari in garage, banche amiche. I figli del boss Francesco Gentile erano i supervisori dei re Mida del riciclaggio: l’imprenditore crotonese Paolo Pelaggi, titolare della Point One spa di Maranello, e il commercialista di Lugano Sergio Pezzatti, direttore della società delle Isole Vergini dedita alla moltiplicazione dei fondi neri.
L’inchiesta dei pm Valter Giovannini e Marco Mescolini della Dda di Bologna ha portato a sette arresti e 25 indagati a vario titolo di reimpiego di proventi illeciti con la finalità di favorire la cosca Arena, bancarotta, false fatture e maxi-frodi all’erario, a banche estere, società di factoring e persino ai danni di Sky tramite vendite abusive di decoder. Pelaggi è accusato anche dell’attentato del 26 luglio 2006 all’Agenzia delle Entrate, rea di aver disposto un accertamento su 700 mila euro di credito d’Iva della Point che poi risulterà aver evaso il fisco per 94 milioni di euro in tre anni. Un’intimidazione senza precedenti che ha tolto il sonno alla capitale mondiale della ceramica: uffici pubblici sventrati nella notte da un chilo di pentrite, cinque volte più potente del tritolo, e una raccomandata l’indomani al direttore per dirsi dispiaciuto e a disposizione “se servono macchinari”.
Mentre il Ris riesce a isolare tracce nell’auto del crotonese, carabinieri di Modena e Gico della Finanza ricostruiscono il vortice circolare di operazioni inesistenti (soprattutto compravendite di materiale informatico) tra società controllate da Pelaggi e complici, che permetteva di maturare credito d’Iva per non pagare le tasse (coi passaggi all’estero) e di ottenere maxi-prestiti fino al crac pilotato. Le intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Marino e Salvatore Angelo Cortese rese all’Antimafia di Catanzaro confermano gli investimenti della ‘ndrangheta, anche di proventi delle estorsioni. In particolare Francesco Gentile, che prima di venire arrestato nel 2007 partecipò con Giuseppe Arena alla festa di inaugurazione della nuova sede a Maranello, e poi i figli Tommaso e Fiore si occupano di rendicontare alla cosca madre. “Ci hanno messo i soldi in questa ditta, perchè è roba a livello grosso, bidoni da un milione di euro” racconta Cortese, che come referente a Reggio Emilia dei Dragone e poi dei Grande Aracri di Cutro (alleati dell’altra famiglia isolitana, i Nicoscia, contro gli Arena nella sanguinosa faida ora interrotta in nome degli interessi comuni in Lombardia ed Emilia) ha avuto contatti coi fratelli Gentile raggiunti ora da custodia cautelare: intervenne anche per fare da paciere con un affiliato preso di mira per un ammanco di denaro. Tra i beni sequestrati per 8 milioni di euro ci sono 7 società, 10 partecipazioni azionarie, 22 polizze e 43 conti bancari.
Pelaggi aveva ottimi rapporti con diversi istituti di credito modenesi e non: plurime telefonate col direttore della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza Giovanni Braglia vertevano, scrive il Gip, “sui vari passaggi di denaro da un conto all’altro per assicurare le rispettive provviste ed evitare che le operazioni eseguite potessero dare adito a sospetti”. Il fulcro del sistema era Mt Trading, società con deposito in Austria (da e per circolavano i camion carichi di fatture) e sede alle Isole Vergini inglesi gestita dal commercialista ticinese Sergio Pezzatti, ex dirigente della filiale di Montecarlo dell’Ubs e del Lugano Calcio. L’Fbi lo ha catturato all’aeroporto Jfk di New York mentre stava per fare rientro in territorio elvetico, dove avrebbe incassato il diniego all’estradizione. Godeva di coperture ad alto livello, se dal suo studio riceveva soffiate su ispezioni fiscali e richieste di rogatorie: “Ho un amico giudice – spiega a Pelaggi in una telefonata intercettata – mi ha detto che c’è una società che amministro io con richiesta di assistenza giudiziaria con l’Italia… Il problema è che se andiamo in causa loro vengono a sapere che la Point One e la Mt sono gli stessi proprietari. L’unica soluzione è quella di liquidare la società prima”.
Il crotonese non è preoccupato dei creditori, “e digli di venirli a chiedere, si accodano”, né di un’eventuale reazione della società civile dopo l’attentato di pochi mesi prima (seguito da un’altra bomba di ignoti che devasta l’Edilmon di Maranello), bensì per le critiche dei padrini a Isola: il giovane capobastone Fabrizio Arena ed il suocero Franco Pugliese, gli stessi che ritroviamo nell’inchiesta del procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo sul riciclaggio di Telecom, Sparkle e Fastweb, collegati al faccendiere Mokbel e autori dei brogli per far eleggere il senatore Pdl Nicola Di Girolamo, poi costretto alle dimissioni. Il ritardo nei versamenti alla cosca-madre, tre anni fa, aveva indisposto Arena e Pugliese, convinti che fosse stato Pelaggi a impossessarsi del denaro. Ma tutto, con l’intervento dei Gentile, s’era ricomposto. Il crotonese che “fa guadagnara na varca e dinari” ha potuto continuare a creare società assieme a Pezzatti, stavolta puntate sui mercati del sud est asiatico, fino al giorno degli arresti.
Stefano Santachiara