Dopo l’intervento sull’etilometro mi è stata segnalato che alquante degustazioni di vino, a Roma, continuano ad essere annoverabili fra i cosiddetti “eventi a rischio”.

Speravo che l’Associazione Italiana Sommelier, cui si deve merito di aver educato non poche persone alla degustazione, non anelasse anche al curioso merito di educazione all’ebbrezza.

Qualche anno fa avevo scritto queste righe per un quotidiano italiano con cui poi non è stato opportuno collaborare. E, giacché la situazione non cambia, paiono ancora pertinenti:

“Nonostante il termine sputacchiera sia invalso nella lingua italiana dal Seicento, tutt’oggi se ne disconosce il significato: o meglio l’oggetto significato dal termine. Infatti da anni tale oggetto non è presente a rinomate e invitanti degustazioni di vino a Roma, dove però, non di rado, sono presenti decine di produttori vinicoli e ognuno presenta diverse bottiglie. Ciò rende possibili tantissimi assaggi senza le arcaiche sputacchiere. In quanto esse permettono un atto che a Roma, in pubblico, è stimato vituperevole e triviale; per quanto a Roma, in privato, le sputacchiere siano vendute dalla stessa associazione di sommelier che fa degustazioni senza di esse.

Bisogna dunque bere e ingurgitare alcol alle pubbliche degustazioni, assaporando il valore estetico e culturale di quella presunta opera d’arte che è il vino. Il vino è poesia, si sente echeggiare da anni. ­– E la poesia è sempre meglio della vita – disse il noto scrittore inglese Malcom Lowry, pertinente giacché morto per alcolismo.

Sicché litri di poesia, quasi ogni settimana, si riversano nelle strade di Roma, sui veicoli che fuoriescono dalle degustazioni orbe di sputacchiere».

In talune occasioni l’associazione ha posto sui tavoli di servizio oggetti non meglio identificati, che assomigliavano a delle sputacchiere: negando però, sadicamente, ai degustatori di sputarci dentro. Alcuni hanno così risolto di girare fra i tavoli con la propria sputacchiera privata (acquistata cioè poco prima nel negozio dell’associazione), o di legarsi un bicchiere di plastica al collo, nella speranza di poter rinnovellare l’ottocentesca e frusta locuzione “sveglia al collo”.

Ps: ringrazio il Professor Infarinato che, giorni fa nei commenti al primo intervento, si è scomodato dalla sua cattedra per spiegare la liceità del termine “barricche”. Ringrazio anche gli altri commenti, negli interventi successivi: ai prossimi mi propongo di rispondere.

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