Di Afghanistan, qui da noi, si parla soltanto quando ci lascia (o rischia di lasciarci) la pelle qualcuno dei “nostri ragazzi”, come è accaduto ancora in questi giorni, o quando qualche reporter o medico italiano viene arrestato dalle forze governative o rapito dai talebani. Per il resto, sulla intricata matassa di quel lontano paese regna l’ignoranza più assoluta, e i media non fanno molto per colmare il gap. Ragione di più per leggere il bel libro di Emanuele Giordana, Diario da Kabul. Appunti da una città sulla linea del fronte (ObarraO edizioni, pagg. 118, euro 10,00): non tanto un’inchiesta sulla genesi di una guerra senza fine, quanto un tentativo di sfatare miti e luoghi comuni sulla realtà di un popolo e di raccontare in presa diretta la tormentata convivenza tra afghani e occidentali.
Giordana conosce l’Afghanistan come le sue tasche, ne ha seguito le drammatiche vicende politiche da trentacinque anni, e il suo stile di reportage, asciutto, rigoroso, a tratti ironico, sempre alieno da ogni retorica, aiuta a comprendere risvolti poco noti del cosiddetto intervento “umanitario”. Apprendiamo per esempio che il rapporto tra cooperazione e missione militare mostra per tutti i paesi dell’alleanza un’enorme disparità. Nel caso dell’Italia, se nel 2006 per l’azione civile sono stati stanziati 49,5 milioni di euro, alle truppe ne sono andati 321. La forbice è cresciuta negli anni successivi, toccando 65,3 contro 455 milioni nel 2009, e nel 2010 è destinata ad aumentare ancora. Stiamo parlando di fondi pubblici, di soldi dei contribuenti, e forse invece di suonare le fanfare di un patriottismo di maniera e di raccontare la favola degli “italiani brava gente” sarebbe il caso di discutere come è meglio impiegare questi denari, soprattutto nell’ottica di una ricostruzione del paese.
Ma Giordana è un giornalista onesto, e non risparmia neppure le Ong, a cominciare da quella di Gino Strada. “Se non ci fosse Emergency bisognerebbe inventarla – scrive Giordana – ma non è tutto oro ciò che luccica”. Malgrado la sua immensa popolarità presso il grande pubblico, Strada non è esente dalle critiche dei suoi colleghi. “Due sono i punti oscuri del lavoro pur prezioso di Emergency. Il primo è che è una Ong molto schierata. Troppo. Dalla parte delle vittime, d’accordo, ma col rischio di venir meno ad alcuni imperativi umanitari: l’imparzialità e la neutralità…”. “L’altro neo – continua Giordana – è che almeno in Afghanistan Emergency opera fuori dal sistema sanitario nazionale in nome di un’autonomia dai governi che è il suo cavallo di battaglia. Gestisce insomma degli ospedali privati, contravvenendo un principio sacrosanto di cooperazione che dovrebbe mirare a non sostituirsi mai al sistema di sanità pubblica del paese”. Sono critiche giuste, o dettate solo dall’invidia? Sta di fatto che il malumore cresce tra i medici afghani e occidentali a Kabul. Il problema esiste, è inutile nasconderlo dietro le magliette con la scritta “Sto con Emergency”. Giordana non è certo sospettabile di simpatie per Frattini o per La Russa, è da sempre amico e sostenitore delle organizzazioni umanitarie, ha perfino lavorato nelle loro file in vari paesi del terzo mondo. Proprio per questo, vale la pena di ascoltarlo anche quando osa parlar male di Garibaldi.