Ormai sgomberano le piazze, per silenziare il dissenso. Il capobanda ha paura di essere svergognato a scena aperta. Sa che la fiction imposta dal regime mediatico non basta più. E la fine di Craxi è un brutto incubo delle notti senza escort. Ecco allora che la polizia viene usata per allontanare dal set televisivo i potenziali guastafeste. Ieri sera mister B. veniva premiato in cima al Duomo di Milano come eccelso statista “della gente e tra la gente”. Ad attenderlo le alte autorità civili, militari e religiose. Con lui Lele Mora, Confalonieri, Fede e tutto il generone di vassalli, cortigiani e lacché che gli gira intorno. L’occasione era un concerto di Aznavour per il restauro della Madonnina. Arriviamo in piazza Duomo verso le 21, reduci dalla commemorazione di Paolo Borsellino. Siamo una quindicina, senza cartelli né megafoni né striscioni. La polizia riconosce tra noi facce non gradite per precedenti di turbativa del quieto vivere e ci impedisce di accedere alla piazza. Per loro siamo rei di intenzione di “manifestazione non autorizzata”.

La solita scusa, già smentita da una recente sentenza che ci ha assolti per un fatto analogo di tre anni fa. C’è un primo confronto dialettico: noi a pretendere di muoverci liberamente, loro a impedircelo fisicamente. Mi viene riferita la frase di un carabiniere: “Io non blocco nessuno”. Una coscienza libera, in un mondo di servi. Nel parapiglia io e altri riusciamo ad arrivare a metà piazza. Qui accade l’assurdo. Una scena da ultima (e disperata) fase del regime bananiero. Due o tre funzionari di questura cercano di portarci via con le spicce. Sono nervosi, sbrigativi: devono aver ricevuto un ordine tassativo da un capetto terrorizzato. L’obiettivo numero uno sono io: loro a rincorrermi, io a divincolarmi urlando il mio sdegno.

Si raduna una folla di curiosi, alcuni ci appaiono perfino indignati per l’abuso che si sta consumando sotto i loro occhi. Ma pochi osano fiatare parole di riprovazione. Metto in rilievo a viva voce la gravità dell’episodio. Resistere a quella forma di repressione preventiva del dissenso significa difendere la libertà di tutti, non solo la nostra. A un certo punto arriva una falange di poliziotti in tenuta anti-sommossa, a occhio e croce un centinaio. Agli ordini dei dirigenti della questura, ci circondano. E ci deportano a forza fino in via Mercanti, indifferenti alle nostre proteste. Lì veniamo piantonati a vista fino a mezzanotte da almeno sessanta agenti (tanti risultano da un conteggio effettuato alle 23, quando in tutto siamo in venti) schierati in modo da sbarrarci l’accesso a piazza Duomo. Soltanto a festicciola conclusa torniamo liberi di camminare per la piazza centrale della nostra città. Resta un dubbio: alla prossima esibizione pubblica dell’amato leader ci verrà impedito di uscire di casa o verremo tradotti direttamente in commissariato, come accadeva ai dissidenti nei giorni gloriosi del (primo) Ventennio? Quanta paura fanno le parole. E com’è putrida quest’agonia di regime.

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