Colpire Mirafiori per educare tutti gli altri siti produttivi. Con gli investimenti che si spostano laddove le relazioni industriali sono sbilanciate nettamente a favore dell’azienda. La nuova piattaforma – L-O il nome in codice – per la monovolume media del gruppo Fiat, che andrà a sostituire prodotti come Lancia Musa, Multipla e Idea, si farà in Serbia, a Kragujevac, lo stabilimento scelto da Marchionne al posto di quello torinese. Una decisione maturata dopo il braccio di ferro con i lavoratori a Pomigliano d’Arco, dove la Fiom si è battuta strenuamente per la difesa di diritti costituzionalmente rilevanti, anche con un referendum interno. Ma la nuova Fiat è questa, e lo scorporo delle attività auto approvato ieri non farà altro che acutizzare ulteriormente i problemi tra sindacati e lavoratori. L’amministratore delegato Sergio Marchionne in un intervista al quotidiano la Repubblica è stato cristallino: “Ci fosse stata serietà da parte del sindacato, il riconoscimento dell’importanza del progetto, del lavoro che stiamo facendo e degli obiettivi da raggiungere, la L-0 l’avremmo prodotta a Mirafiori. Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell’attività”. Ma in questi termini la decisione presa rischia di essere un riedizione durissima del dumping sociale che gli stati industrializzati vedono purtroppo ormai da anni.
Ma nella scelta di dove produrre contano anche i finanziamenti, e in questo caso sono tanti. Per il rinnovo degli impianti serbi il governo di Belgrado metterà sul piatto 250 milioni di euro, contro lo zero dell’Italia a Mirafiori, che si aggiungono ai 400 di finanziamenti della Banca europea per gli investimenti (Bei) e i 350 che metterà Marchionne. L’amministratore delegato dice che non è una questione di soldi, anche se c’è il sospetto che quella cifra offerta dai serbi, probabilmente a fondo perduto, possa aver fatto pendere la bilancia dalla parte del paese balcanico.
L’annuncio dell’esclusione di Mirafiori dal nuovo progetto (“A Mirafiori faremo altro, ci stiamo pensando”, ha detto genericamente Marchionne) arriva con quello, epocale, della divisione dell’attività auto da quelle di camion e trattori, che confluiranno in Fiat Industrial. Lo ha deciso un consiglio d’amministrazione che si è tenuto emblematicamente ad Alburn Hills, vicino Detroit, dove ha il quartiere generale Chrysler. Viene così dato seguito all’annuncio dello scorso aprile: Fiat group si divide in due, con le attività dell’auto, la componentistica di Magneti Marelli e i robot di Comau, le partecipazioni finanziarie come Rcs Mediagroup e le altre attività tipo il quotidiano La Stampa che restano sotto la società del Lingotto. I camion, i trattori e le macchine ad uso industriale di Cnh confluiscono, invece, in Fiat Industrial. Ovvero l’altra Fiat, che vivrà di luce propria rispetto a quella originaria. Resta aperto il tema della suddivisione del debito tra le due società, mentre le poltrone chiave sono state quasi tutte decise. In Fiat auto resta presidente Jaki Elkann con Marchionne amministratore delegato. Quest’ultimo sarà presidente della Industrial, alla ricerca ancora di un amministratore.
Nel frattempo i risultati del secondo trimestre hanno visto il ritorno all’ utile per 113 milioni di euro contro una perdita di 179 milioni dello stesso periodo del 2009: migliorano in generale tutti i numeri di bilancio, con il fatturato consolidato che sale del 12,5 per cento a 14,8 miliardi di euro e i debiti netti industriali che scendono a 3,7 miliardi di grazie ad una buon generazione di cassa.
E’ ancora presto per fare delle congetture sul futuro della nuova Fiat, anche se una cosa è chiara. Le attività automobilistiche sono un settore fortemente ciclico, e lasciate da sole daranno luogo a drastici cambi di rotta nei conti con il cambiare della congiuntura. Cambi che d’ora in poi saranno maggiormente visibili perché non più calmierati dagli altri asset del gruppo. Questo significa che la società cercherà la massima efficienza produttiva, dentro o fuori dall’Italia, anche a costo di decisioni impopolari come quelle prese a Termini Imerese o a Pomigliano d’Arco. O come quest’ultima di Mirafiori. Governo e sindacati non hanno che da prepararsi.
di Afredo Faietta