“Con gli americani abbiamo tutto in comune, tranne la lingua”. Solo la penna sagace di Oscar Wilde poteva cristallizzare in un simile aforisma uno dei più grandi paradossi della relazione tra la Gran Bretagna e la sua antica colonia d’oltreoceano. Il loro essere così vicini e così lontani.

Il viaggio di David Cameron a Washington, appena conclusosi, dà modo di riflettere sul loro rapporto in crisi. A Londra si era sempre parlato di una “relazione speciale” che legava le due sponde dell’Atlantico. “Parliamo la stessa lingua”, ha ricordato Obama davanti a un Cameron non certo dispiaciuto di condividere la scena con il politico più amato del momento (almeno fuori dal suo paese).Eppure le relazioni diplomatiche dei due amici storici sembrano giunte al livello più basso dai tempi della guerra d’indipendenza.

La responsabilità principale è certo a carico di BP, la compagnia petrolifera britannica, che ha prodotto uno dei più grandi disastri ambientali della storia del continente americano. Strana ironia: la piccola Gran Bretagna, in cui il rispetto per l’ambiente rappresenta un valore condiviso non meno che in altre nazioni nord-europee, riversa tonnellate di liquami a largo delle coste di un paese proverbialmente legato al petrolio. Così anche i texani si vedono inondare il Golfo del Messico per colpa del paese che associano piuttosto a Shakespeare o eventualmente allo snobismo europeo verso gli adoratori dell’oro nero. Senza contare come il disastro ecologico arriva quando l’inquilino della Casa Bianca è il politico più ecologista della storia americana.

Allo scoglio BP, Cameron era preparato. A quello Lockerbie un po’ meno. Basti ricordare come nell’agosto 2009 il ministro della giustizia scozzese Kenny MacAskill decide di rilasciare Ali al-Megrahi. Il terrorista si era reso responsabile, nel 1988, del più grave attentato mai commesso in territorio britannico in tempi di pace: 270 le vittime a bordo del volo Pan Am, molti dei quali cittadini americani. Rilasciato per compassione, in quanto malato terminale di cancro alla prostata, al-Megrahi non solo torna felicemente in Libia, dove viene accolto come un eroe. Qualche medico meno pessimista di chi lo dato per spacciato entro tre mesi, di anni da vivere gliene dà circa dieci – e poi, perché mettere limiti alla provvidenza?

Si dà il caso che sul rilascio di al-Megrahi 4 senatori americani chiedono spiegazioni a Cameron in occasione del suo tour oltreoceano. Perché avete graziato il terrorista? Ci sarà mica stato lo zampino della malefica BP, pure in quel caso? Cameron tentenna. Alla vigilia del viaggio dice di voler rifiutare l’incontro con i senatori, poi ci ripensa. Assolve d’ufficio BP e condanna le autorità scozzesi – che gli rispondono a stretto giro ribadendo la versione del rilascio per ragioni di salute -, ma poi annuncia l’apertura di un inchiesta, che chissà dove porterà. Insomma, va in America sapendo di essere sul banco degli imputati, e rientra a Londra con la coda fra le gambe. La “relazione speciale” tra i due paesi forse ancora c’è, ma come ammette la stampa britannica, gli inglesi sono ormai dei partner minori. Lo sono da tempo, ma dopo il disastro BP e il ripresentarsi dei fantasmi di Lockerbie gli statunitensi guardano la Gran Bretagna perfino con una punta di diffidenza. Non più soltanto perché hanno difficoltà a capire l’accento dello Yorkshire o – come dargli torto – a guardare una partita di cricket.

La sera in cui gli Usa e l’Inghilterra si sono affrontate durante il mondiale mi trovavo in una zona turistica di Istambul. Unico a tifare per la squadra di Capello, circondato da un mare di americani. Il risultato finale, 1-1 con un gol rimontato dagli Usa deve esser apparso agli inglesi come una autentica sconfitta. Basti pensare a quanto si sentono orgogliosi di aver creato il football, religione nazionale non meno che in Italia. Nessuno dei due l’aveva spuntata durante quella partita, che molti si erano spinti a considerare una sorta di rivincita degli States per il “regalo” petrolifero di BP. Il viaggio di Cameron ha ricordato, se ce ne fosse stato bisogno, cosa resta oggi della “relazione speciale” tra Washington e Londra. Nella partita diplomatica, la Gran Bretagna sembra ormai poter giocare soltanto in difesa.

Wilde aveva proprio ragione. Parlare la stessa lingua non vuol dire sempre capirsi.

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