Il nome, basta quello. Hiroshima, prima città a subire un bombardamento nucleare, è nella memoria del mondo sinonimo dell’orrore della guerra. E basta citarne il nome per evocare uno strazio che lascia senza parole. Per questo quel nome viene fatto sempre con cautela. Per questo fa ancora più impressione leggere che c’è una battaglia, avvenuta 59 anni dopo il lancio dell’atomica sulla città giapponese, le cui conseguenze sono “peggiori di quelle di Hiroshima”. Peggiori di quelle di un disastro nucleare.
Uno studio rivela infatti che a Falluja, in Iraq – teatro, nel 2004, di due offensive dei marines americani – la percentuale di tumori è cresciuta di 4 volte, quella di cancro nei bambini di 12 volte, quella di leucemia di 38 volte, la mortalità infantile è di 80 bambini su 1.000 nascite (contro i 17 nella confinante Giordania e 9,7 in Kuwait), le malformazioni infantili sono in costante aumento (una bimba è nata con due teste, altri con gli arti malformati o paralizzati). Solo per fare un paragone, a Hiroshima la percentuale di leucemia salì di 17 volte dopo il bombardamento nucleare. Secondo il dottor Chris Busby, professore dell’Università dell’Ulster e co-autore, insieme ai dottori Malak Hamdan e Entesar Ariabi, della ricerca (intitolata “Cancro, mortalità infantile e rapporto tra sessi alla nascita a Falluja – 2005-2009” e pubblicata sul Journal of Environmental Studies and Public Health di Basilea), le varianti di cancro individuate a Falluja sono “simili a quelle riscontrate a Hiroshima, tra i sopravvissuti esposti a radiazioni ionizzanti della bomba e all’uranio del “fallout” (la ricaduta di sostanze tossiche al suolo dopo l’esplosione)”.
Lo studio – condotto su 4.800 persone tra gennaio e febbraio di quest’anno – ha mostrato anche che il rapporto percentuale tra maschi e femmine è variato molto, dopo l’attacco, arrivando a 850 bambini nati ogni 1000 femmine. Il rapporto maschi-femmine è un indicatore dei Danni genetici, che colpiscono più i maschi delle femmine. E una variazione simile è stata riscontrata – ancora una volta – a Hiroshima.
Secondo il dottor Busby è difficile individuare con certezza una causa dietro a questi dati. Ma “per produrre un effetto del genere”, ha detto, “dev’essersi verificata una notevole esposizione a agenti tossici e mutogeni ne 2004, quando avvenne l’attacco”. Ecco, l’attacco. I marines assediarono e bombardarono Falluja nell’aprile di 6 anni fa, dopo che 4 dipendenti della compagnia di sicurezza Blackwater furono uccisi e i loro corpi bruciati e portati per la città. Dopo 8 mesi di stallo nelle operazioni, i Marines decisero di usare l’artiglieria e i bombardamenti aerei per piegare la resistenza. Utilizzando armi legali, fu detto. Prima che si scoprisse dell’uso del fosforo bianco, in grado di bruciare, a contatto con l’aria, pelle e carne su cui si deposita: un’arma illegale, in campi di guerra densamente popolati come una città. E ora il dubbio è “che siano state usate anche armi contenenti uranio, in qualche forma”, dice il dottor Busby.
I militari britannici, che affiancarono gli americani durante l’assalto, rimsaero esterrefatti notando il volume di fuoco impiegato per l’operazione. Falluja venne considerata una zona sulla quale poter sparare liberamente: “In una sola notte vennero lanciati 40 colpi di artiglieria pesante su un singolo settore della città”, ricorda il brigadiere Nigel Aylwin-Foster. Il comandante che ordinò quell’uso devastante di munizioni non lo considerò rilevante, tanto da non menzionarlo nemmeno nel rapporto al comandante delle truppe Usa. Dal 2007 in poi, gli Usa hanno messo in campo nuove strategie per l’assalto ad aree popolate, riducendo la potenza di fuoco. Ma la mancanza di cure a Falluja è continuata ben oltre quel drammatico novembre 2004. Gli ospedali sono stati ricostruiti lentamente, la ente aveva paura ad andare fino a Baghdad – a meno di 50 chilometri di distanza. E così i bimbi hanno continuato a nascere malformati, ammalarsi di cancro e morire, nella Hiroshima del Medio Oriente.