Ho appena rivisto “Il corpo delle donne”. Avete presente, quei quaranta minuti di spezzoni televisivi, in cui si scopre che la donna non è fatta a immagine e somiglianza di Dio, ma di una Barbie siliconata? O, per gli ontologi sessuomani, che Dio è una Barbie siliconata? Io sono sconvolta. Ho le rughe che si formano per protesta. Le labbra che si sgonfiano per vendetta. I peli pubici che hanno proclamato l’autogestione. Com’è possibile che ci siamo ridotte così? Ma poi, sono assalita dai dubbi, che per me sono come i mosquitos sull’Isola dei famosi. Feroci e irrinunciabili. Mi chiedo: e se fosse questo il nuovo stadio dell’evoluzione darwiniana? Si riproducono, e tramandano i propri geni, soltanto le donne che tollerano protesi non riassorbibili…
Oddio, no, non può essere. Io sono intollerante praticamente a tutto! La lista delle mie allergie è più lunga di quella dei deputati inquisiti in Parlamento. Anch’io, però, mi voglio riprodurre! Di più, voglio tutto quello che viene prima, anzi no, durante la riproduzione (così, almeno, mi hanno spiegato…). Basta, ho deciso, vado dal mio medico di fiducia, che è anche chirurgo plastico, che è anche dermatologo, che è anche omeopata, che è anche omotossicologo, che è anche agopunturista, e quando può mi aiuta con la dichiarazione dei redditi. La visita dura un lampo. Il medico dice che sono in splendida forma e c’è bisogno appena di qualche ritocchino. Elenca i più urgenti: un paio di litri di botox per la fronte a organetto, un’overdose di acido iauluronico per zampe di gallina e guance prolassate, una bottiglia di collagene per le labbra sottiletta, magari una protesi settima misura per le microtette, la cavitazione a ultrasuoni per rialzare le chiappe ammainate e rassodare l’interno budinoso delle braccia, il laser resurfacing per le macchie scure a pelle di leopardo, un numero indefinito di trattamenti endormology per la tenacissima cellulite delle cosce, una deforestazione che raddoppi in due anni i ritmi di quella amazzonica per inguine e gambe. Infine, per scrupolo scientifico, mi chiede di spogliarmi completamente nuda e conclude che, sì, anche una bella brasiliana non guasterebbe!
Sono al settimo cielo. Torno a casa rincuorata. Un giorno riuscirò a trovare un marito, riprodurmi e trasmettere i miei geni modificati alle generazioni future. Mia figlia avrà due tette come Alba Parietti già a un anno. Mio figlio nascerà immune da qualsiasi autotrapianto monobulbare. E il mio cane urinerà acqua di rose profumata e lenitiva. Saremo una famiglia a prova di inestetismi, e vivremo per sempre felici e sintetici.
Finché, non mi cade l’occhio (riesce a cadermi perché non ho ancora fatto il botox, N.d.A.) su una vecchia foto ingiallita che campeggia all’ingresso del mio monolocale. Dentro la foto c’è mia nonna, al mare, sorridente in costume intero. Barbie mia, che spavento! Ha la pelle molliccia e plissettata, il seno che le scivola fin giù alle ginocchia, il viso ridotto a un’inestricabile ragnatela di rughe (e non una ragnatela qualunque, ma una di quelle bastarde che non fai in tempo a spazzarla via che il cyber-ragno l’ha già riformata.) Eppure…mia nonna nella foto ha qualcosa di…boh. Non so cosa sia, qualcosa che ha a che fare con la realtà, forse. Un’espressione che non si può comprare. La faccia di chi ha vissuto nel tempo e non contro di esso. Forse, essere belli ha a che fare solo con questo, con il sentirsi a proprio agio. E mia nonna ci riusciva. Guardala lì. Era capace di sorridere pure a decomposizione avviata.
Che meraviglia, penso. Chiamo il mio medico di fiducia e disdico i centosettantacinque appuntamenti. Lui insiste almeno per la brasiliana, ma no, dico, tanto mi spoglio solo nella mia vasca da bagno davanti a una papera gialla e a un poster di Franz Kafka (che vi devo dire, a me rilassa). Ora, finalmente, ho chiaro il destino mio e del mio corpo. Voglio diventare come mia nonna! Un cadavere pieno di vita che si aggira tra barbie perfettamente conservate.