L'ex top model dovrà testiminiare, il 5 agosto, nel processo per crimini di guerra contro Charles Taylor, ex presidente della Liberia: nel 1997 le avrebbe regalato la preziosissima pietra, illegale, perché i proventi di quel commercio servivano a finanziare il massacro in Sierra Leone
Lei ha un vestito bianco, semplice. È elegante, come solo una modella sa essere. Lui, al suo fianco, sorride, ammirato dalla sua bellezza. Poche ore dopo quello scatto, lui le avrebbe fatto recapitare in camera un diamante grezzo. Un diamante ottenuto in cambio di qualche fucile o bazooka, che in quello stesso istante – nel 1997 – stava forse sparando in Sierra Leone, in uno dei più sanguinosi conflitti che l’Africa ricordi. Il 5 agosto, 13 anni dopo quella foto, lei – la super top model Naomi Campbell – dovrà comparire in un’aula del tribunale penale internazionale. Dove lui – l’ex presidente della Liberia Charles Taylor – è accusato di crimini di guerra – dall’omicidio allo stupro di massa, passando per l’uso di bambini soldato. E dovrà dire se è vero, come riferito dall’attrice Mia Farrow, testimone immortalata nella foto scattata ad una festa ospitata dall’allora presidente sudafricano Nelson Mandela, che Taylor le consegnò il “diamante di sangue”.
La “Venere Nera” ha sempre cercato di non rispondere alle domande sulla vicenda: quando un reporter della tv Usa Abc le fece la domanda, se ne andò senza dire nulla. “Non voglio mettere la mia famiglia in pericolo”, ha detto la Campbell, svicolando la questione su cui invece la Farrow (che sarà ascoltata come testimone) è molto diretta (“Lei stessa mi disse che le avevano portato il diamante grezzo nel cuore della notte, ed era stupefatta. Non ti dimentichi certo il momento in cui un’amica viene a raccontarti una cosa simile”). Ora la testimonianza della modella potrebbe rivelarsi fondamentale per incastrare Taylor. Nessuno avrebbe potuto né dovuto avere diamanti grezzi dalla Sierra Leone, nel 1997. L’accusa nei suoi confronti è quella di averli ottenuti in cambio di armi per il Fronte Unito Rivoluzionario, gruppo ribelle al centro del conflitto che tra 1991 e 2001 fece almeno 200mila morti.
Ma la terribile storia dei “diamanti di sangue”, raccontata anche in un film con Leonardo Di Caprio, non è affatto terminata con l’arresto di Taylor, né con la firma, nel 2002, del Kimberley Process, lo schema di controllo e certificazione della provenienza dei diamanti che lava la coscienza dei consumatori delle vie della moda di tutto il mondo. Si è solo spostata. E ora ha uno dei suoi centri principali nello Zimbabwe, e precisamente nelle miniere di Marange. Lì si trovano sepolti diamanti dal valore stimato di miliardi di dollari. E quei diamanti – per i quali il 19 luglio è stato raggiunto un accordo che prevede, entro settembre, due tranche di esportazioni e vendita in tutto il mondo – vengono ottenuti a prezzo di violenze e abusi continui. E potrebbero servire a finanziare il prossimo bagno di sangue in Africa.
I campi di Marange furono scoperti nel giugno 2006. Da quel momento i cittadini dello Zimbabwe – uno dei Paesi più poveri al mondo, con un’inflazione folle (nel 2008 toccò il record di 80miliardi per cento al mese) e oltre il 70% delle persone sotto il livello della miseria – si diressero verso il nuovo Eldorado. Ne arrivarono 35mila in pochi mesi. Giovani, donne, bambini. Alcuni arrivarono anche da Sudafrica, Boswana, Congo, Mozambico, Guinea Equatoriale, Nigeria, Libano, persino Pakistan, Belgio e India. La stituazione degenerò rapidamente: prostituzione, corruzione, scontri a fuoco tra gruppi di minatori, decine di persone morte in tunnel costruiti senza misure di sicurezza. Il governo lanciò allora l’operazione Hakuszokwi, “Nessun ritorno”. Duecento persone furono uccise, molte di più torturate, violentate, picchiate. Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto shock sulle violenze, chiedendo al governo di Robert Mugabe di fermarle immediatamente e alla Comunità internazionale di proseguire il bando sui diamanti dello Zimbabwe. Oggi centinaia di persone continuano a scavare nelle miniere del Paese africano, distribuendo mazzette ai poliziotti per mettere piede nell’area controllata dal governo. E i diamanti stanno per tornare in vendita in tutto il mondo, anche se un osservatore ha detto chiaramente che il denaro che se ne ricaverà sarà usato dal partito di Mugabe, lo Zanu-PF, per tenere al guinzaglio l’esercito in vista delle prossime elezioni. “Il prossimo voto sarà un bagno di sangue”, ha detto al quotidiano inglese Guardian. “E sarà sponsorizzato dai campi di diamanti di Marange”. “La gente pensa che sia un problema nostro”, dice Adele Farquhar, 46 anni, in battaglia legale sulla proprietà di una miniera, “ma c’è una vasta complicità internazionale”. E Farai Maguwu, attivista 36enne che è stato arrestato e picchiato più volte per le sue denunce, conclude agro: “Per me è chiaro che I diamanti sono una maledizione, per questo paese. Credo che gli occidentali non capiscano a fondo il livello di distruzione che è stato raggiunto per ottenere il diamante che brilla davanti ai loro occhi”.
Lei ha un vestito bianco, semplice. È elegante, come solo una modella sa essere. Lui, al suo fianco, sorride, ammirato dalla sua bellezza. Poche ore dopo quello scatto, lui le avrebbe fatto recapitare in camera un diamante grezzo. Un diamante ottenuto in cambio di qualche fucile o bazooka, che in quello stesso istante – nel 1997 – stava forse sparando in Sierra Leone, in uno dei più sanguinosi conflitti che l’Africa ricordi. Il 5 agosto, 13 anni dopo quella foto, lei – la super top model Naomi Campbell – dovrà comparire in un’aula del tribunale penale internazionale. Dove lui – l’ex presidente della Liberia Charles Taylor – è accusato di crimini di guerra – dall’omicidio allo stupro di massa, passando per l’uso di bambini soldato. E dovrà dire se è vero, come riferito dall’attrice Mia Farrow, testimone immortalata nella foto scattata ad una festa ospitata dall’allora presidente sudafricano Nelson Mandela, che Taylor le consegnò il “diamante di sangue”.
La “Venere Nera” ha sempre cercato di non rispondere alle domande sulla vicenda: quando un reporter della tv Usa Abc le fece la domanda, se ne andò senza dire nulla. “Non voglio mettere la mia famiglia in pericolo”, ha detto la Campbell, svicolando la questione su cui invece la Farrow (che sarà ascoltata come testimone) è molto diretta (“Lei stessa mi disse che le avevano portato il diamante grezzo nel cuore della notte, ed era stupefatta. Non ti dimentichi certo il momento in cui un’amica viene a raccontarti una cosa simile”). Ora la testimonianza della modella potrebbe rivelarsi fondamentale per incastrare Taylor. Nessuno avrebbe potuto né dovuto avere diamanti grezzi dalla Sierra Leone, nel 1997. L’accusa nei suoi confronti è quella di averli ottenuti in cambio di armi per il Fronte Unito Rivoluzionario, gruppo ribelle al centro del conflitto che tra 1991 e 2001 fece almeno 200mila morti.
Ma la terribile storia dei “diamanti di sangue”, raccontata anche in un film con Leonardo Di Caprio, non è affatto terminata con l’arresto di Taylor, né con la firma, nel 2002, del Kimberley Process, lo schema di controllo e certificazione della provenienza dei diamanti che lava la coscienza dei consumatori delle vie della moda di tutto il mondo. Si è solo spostata. E ora ha uno dei suoi centri principali nello Zimbabwe, e precisamente nelle miniere di Marange. Lì si trovano sepolti diamanti dal valore stimato di miliardi di dollari. E quei diamanti – per i quali il 19 luglio è stato raggiunto un accordo che prevede, entro settembre, due tranche di esportazioni e vendita in tutto il mondo – vengono ottenuti a prezzo di violenze e abusi continui. E potrebbero servire a finanziare il prossimo bagno di sangue in Africa.
I campi di Marange furono scoperti nel giugno 2006. Da quel momento i cittadini dello Zimbabwe – uno dei Paesi più poveri al mondo, con un’inflazione folle (nel 2008 toccò il record di 80miliardi per cento al mese) e oltre il 70% delle persone sotto il livello della miseria – si diressero verso il nuovo Eldorado. Ne arrivarono 35mila in pochi mesi. Giovani, donne, bambini. Alcuni arrivarono anche da Sudafrica, Boswana, Congo, Mozambico, Guinea Equatoriale, Nigeria, Libano, persino Pakistan, Belgio e India. La stituazione degenerò rapidamente: prostituzione, corruzione, scontri a fuoco tra gruppi di minatori, decine di persone morte in tunnel costruiti senza misure di sicurezza. Il governo lanciò allora l’operazione Hakuszokwi, “Nessun ritorno”. Duecento persone furono uccise, molte di più torturate, violentate, picchiate. Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto shock sulle violenze, chiedendo al governo di Robert Mugabe di fermarle immediatamente e alla Comunità internazionale di proseguire il bando sui diamanti dello Zimbabwe. Oggi centinaia di persone continuano a scavare nelle miniere del Paese africano, distribuendo mazzette ai poliziotti per mettere piede nell’area controllata dal governo. E i diamanti stanno per tornare in vendita in tutto il mondo, anche se un osservatore ha detto chiaramente che il denaro che se ne ricaverà sarà usato dal partito di Mugabe, lo Zanu-PF, per tenere al guinzaglio l’esercito in vista delle prossime elezioni. “Il prossimo voto sarà un bagno di sangue”, ha detto al quotidiano inglese Guardian. “E sarà sponsorizzato dai campi di diamanti di Marange”. “La gente pensa che sia un problema nostro”, dice Adele Farquhar, 46 anni, in battaglia legale sulla proprietà di una miniera, “ma c’è una vasta complicità internazionale”. E Farai Maguwu, attivista 36enne che è stato arrestato e picchiato più volte per le sue denunce, conclude agro: “Per me è chiaro che I diamanti sono una maledizione, per questo paese. Credo che gli occidentali non capiscano a fondo il livello di distruzione che è stato raggiunto per ottenere il diamante che brilla davanti ai loro occhi”.