La riserva indiana di Pomigliano d’Arco che accoglierà i primi dipendenti “di serie B” di Fiat Auto è pronta, e potrebbe non essere l’unica vista la convocazione dei sindacati per giovedì a Torino, per ridiscutere il contratto nazionale (probabilmente verrà annunciata la disdetta a partire da fine 2012, scadenza natuale) dei 25mila dell’auto degli altri stabilimenti italiani dopo la vittoria strappata nel sito campano. Proprio a Pomigliano l’amministratore delegato del gruppo Sergio Marchionne non ha voluto perdere tempo, e a qualche giorno dall’affermazione del sì all’ennesimo referendum spacca-confederali – si decideva se aderire alle nuove proposte contrattuali Fiat, pena la chiusura dell’impianto come a Termini Imerese – ha varato Fabbrica Italia Pomigliano, una nuova entità giuridica, o newco come si preferisce chiamarla adesso, dove con l’approssimarsi della fine del 2012 confluiranno attività e dipendenti, riassunti, del sito campano. La nuova entità per il momento non è che una scatola vuota, con 50 mila euro di capitale, sede a Torino, presidente lo stesso Marchionne e consiglieri alcuni fidatissimi dirigenti della casa torinese. Un recinto che andrà col tempo riempito di asset e dei circa 5000 mila lavoratori che dovranno costruire la nuova Fiat Panda. Ovvero l’ennesimo paradosso italiano di una utilitaria a basso valore aggiunto che torna in produzione nella “costosa” Italia industriale dalla Polonia dov’era stata delocalizzata con una (perlomeno) comprensibile logica di costi e ricavi.
Ma perché l’esigenza di una nuova società, se Cassino, Mirafiori e Termini non hanno questo assetto? E’ presto detto: si tratta di un passaggio tecnico inevitabile in Italia, visto che il nuovo contratto è peggiorativo rispetto a quello in uso in tutto il gruppo, e se non si separassero giuridicamente i dipendenti di Pomigliano dal resto di Fiat, sarebbero possibili azioni legali di rivalsa per il principio di parità di mansione e parità di diritti tra colleghi. Da qui l’esigenza della società di cautelarsi e l’idea della “riserva indiana”, ingentilita solo dal nome Fabbrica Italia Pomigliano. Che non sarà più in Federmeccanica, come ha annunciato la società: se il contratto non dev’essere più quello dei metalmeccanici non ha senso frequentare la stessa casa comune. Un altro passo verso una Fiat sempre meno immersa nel tessuto economico e sociale italiano e sempre più multinazionale apolide con le mani libere di cambiare le carte in tavola alla bisogna.
Un unico dubbio resta aperto: perché la nuova entità, pur essendo core business del Lingotto, andrà a finire sotto Fiat Partecipazioni? Ovvero la sub-holding che raccoglie le attività non nell’auto del gruppo che sono invece in Fiat spa? Da Torino, per il momento, nessuna replica.
“A Pomigliano le regole saranno uguali a quelle illustrate agli investitori finanziari quando fu presentato il piano industriale al 2014”, dice un analista finanziario esperto del settore (che preferisce l’anonimato) interpretando la decisione di Fiat: “Flessibilità organizzativa e produttiva, minori tempi morti, tolleranza zero su assenze che non siano pienamente giustificabili.”. Tutti punti che dovrebbero contribuire a saturare la produzione Fiat verso la piena realizzazione del piano. “A questo punto – conclude – c’è da aspettarsi che gradualmente quel che è stato fatto a Pomigliano sia replicato anche negli altri siti produttivi, per mantenere il passo verso quei 1,4 milioni di vetture da produrre in Italia”.
Alfredo Faieta