I tre anni del mandato, previsti dallo Statuto, non bastavano. Per il Rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla, ce ne vogliono cinque. La ragione è semplice: cinque anni è il tempo “sufficientemente lungo – afferma il Magnifico – per l’attuazione del programma e per prevenire il consolidamento di situazioni sclerotizzate”. In realtà, per Lagalla due anni in più è un tempo “sufficientemente lungo” per restare nella sua poltrona di Rettore sino alle elezioni politiche del 2013. Pare infatti che il ministro della Giustizia Angelino Alfano gli abbia promesso un futuro prestigioso nel Pdl. Del resto, uomo fedele del Guardasigilli, il Rettore dell’Ateneo palermitano ha da sempre manifestato velleità politiche.

Da ex assessore alla Sanità della Giunta Cuffaro, nel 2007 lascerà un buco spaventoso, certificato dalla Corte dei Conti. Poi l’anno successivo vincerà con un vero e proprio plebiscito la corsa per la carica di Rettore. E a distanza di due anni dal suo insediamento a Palazzo Steri, ex sede del Tribunale dell’Inquisizione del Santo Uffizio, oggi edificio dell’Ateneo, ecco arrivare il prolungamento del mandato. La legge ad rectorem, presentata il 4 marzo 2010 e votata a maggioranza dal senato accademico, oltre all’allungamento dell’incarico per il Rettore, prevede il prolungamento del mandato per i Presidi in carica e il congelamento, fino al 30 giugno 2011, “di tutti gli altri responsabili di strutture e articolazioni accademiche”. Con l’ok del Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, la legge ad rectorem diventerà legge dell’ateneo.

Lagalla non è il primo a prolungarsi il mandato, ma ha chiesto più tempo. A Messina, il Rettore Francesco Tomasello , ha infatti già chiesto e ottenuto una proroga degli incarichi, per sé e i presidi di Facoltà, con le stesse motivazioni. Ma se a Messina, per completare “ la realizzazione del progetto di rimodulazione della governance” bastava un anno, a Palermo ce ne vogliono due.

“Fuori i parenti dall’Ateneo”, disse Lagalla appena insediato. L’Università del capoluogo siciliano, infatti, è nota alle cronache come centro di una “cupola di clan accademici” che da decenni, di padre in figlio, si spartiscono il sapere. Qui comandano cento famiglie: i Cannizzaro con altre 23 famiglie a medicina; i Galasso con altre 9 famiglie a giurisprudenza; i Milone ad architettura; i Tudisca con altre 10 famiglie ad Agraria, la facoltà più piena di mogli e figli (su 129 docenti, 23 sono parenti). Ma questo è solo un accenno. Basta sfogliare l’annuario accademico per rilevare i casi di nepotismo, con in testa la facoltà di Medicina. Una situazione così insostenibile che anche il neo Rettore non potè non notarla. All’inizio del suo mandato (2008), ai giornalisti che lo incalzavano sul tema parentopoli, Lagalla promise: “Entro sei mesi anche l’Università di Palermo avrà il suo Codice Etico”. Di mesi ne son passati 24 e che fine ha fatto il codice etico? Dopo due anni nella proposta di modifica dello Statuto si annuncia solo“l’adozione (in corso) del codice e la previsione di più aggiornati ed evoluti istituti di garanzia”. Se il Rettore di Palermo in 24 mesi non è riuscito a dotare l’Ateneo di un provvedimento antinepotismo, è riuscito però a cambiare l’intero Statuto per allungare la durata della sua carica. Cose italiane.

E che dire dei concorsi? Scommettere sul nome del vincitore è quasi la norma: il nome dell’idoneo è deciso in anticipo dalla Facoltà nel momento in cui “chiede” il posto. Tutto il resto (pubblicazione del bando in gazzetta ufficiale, elezione dei commissari, loro convocazione nella sede con relativa ospitalità in albergo, prove scritte e orali) è un’inutile messa in scena. Sono emblematici i casi di Rosita Lo Baido, moglie del proprietario del Giornale di Sicilia Antonio Ardizzone, che da semplice psichiatra ospedaliero presso il Policlinico di Palermo, sei anni fa ha fatto il grande salto diventando in un sol colpo professore associato. E della moglie dell’ex presidente della Regione Cuffaro. Giacoma Chirielli, radiologa, è riuscita a trovare un posto più adeguato, data la “disgrazia” in cui è caduta tutta la famiglia negli ultimi anni. Per lei poteva andar bene solo un posto da ricercatrice. Così un mese fa la dipendente del Policlinico è tornata a fare esami, grazie a un concorso, dove sarebbe stata unica candidata.

“Fuori i partiti dall’Università”, prometteva Lagalla. Tranne uno: il Partito Dell’Amore. Uno di quelli che grazie al nuovo statuto si vedrà prolungato l’incarico è Adelfio Elio Cardinale, Preside della Facoltà di Medicina dal 2001, e opinionista del Giornale di Sicilia. Adelfio Elio Cardinale è uomo di Schifani, già nominato dal Pdl Presidente del Cerisdi (Centro ricerche e studi direzionali), con sede al castello Utveggio. La moglie di Cardinale, invece, è la dottoressa Anna Maria Palma, già procuratore aggiunto di Palermo e oggi capo di gabinetto del Presidente del Senato Renato Schifani. All’area di Schifani appartiene anche il direttore amministrativo dell’Università Antonio Valenti e il nuovo direttore generale del Policlinico – che è azienda ospedaliera dell’università – Mario La Rocca, ingegnere, ex capo della segreteria tecnica dell’assessorato regionale ai Lavori pubblici. Insomma Lagalla ha consegnato alla politica l’intero Ateneo, Policlinico compreso.

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