Sulla carta dovrebbero essere 33 parlamentari alla Camera e 14 al Senato. Ma i veri numeri di Gianfranco Fini si sapranno solo al momento del distacco dal Pdl. E cioè fra pochissimo.
A Montecitorio tra i fedelissimi del presidente della Camera sono da annoverare per primi Italo Bocchino e Fabio Granata, rispettivamente vicecapogruppo del Pdl e numero due della commissione parlamentare Antimafia.
Di tutto riguardo è anche il ruolo di Giulia Buongiorno, presidente della commissione Giustizia, dove recentemente si è consumato lo scontro interno alla maggioranza sul ddl intercettazioni che ha mandato su tutte le furie Silvio Berlusconi.
Se al Senato il gruppo dei finiani è capitanato dal sottosegretario Pasquale Viespoli, al governo c’è Andrea Ronchi, ministro per le Politiche comunitarie.
Di questa squadra i due che però hanno spinto la polemica con Berlusconi fino alle estreme conseguenze sono Bocchino e Granata. Il primo, solo due giorni fa, è tornato a chiedere la testa di Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del (ancora per poco) suo partito. Secondo il braccio destro di Fini, Verdini non sarebbe “più nelle condizioni, anche psicologiche, di fare il coordinatore del Pdl e sarebbero peraltro ancor più opportune le sue dimissioni”.
L’altro pasdaran del “Fini pensiero” è il vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia, uno che sembra aver preso la battaglia per la legalità molto sul serio. In occasione delle celebrazioni dell’anniversario della morte di Paolo Borsellino, Granata aveva usato parole di fuoco contro alcuni esponenti di punta del Pdl in mezzo alla bufera giudiziaria. Dalle colonne del suo blog (su ilfattoquotidiano.it) il per ora esponente del Pdl si era augurato che alla cerimonia per ricordare il giudice ucciso dalla mafia non si fosse presentato “chi ha appassionatamente solidarizzato con condannati per mafia esaltatori di mafiosi eroici o con chi resta attaccato alla poltrona nonostante i mandati di cattura per associazione camorristica”. Chiaro il riferimento al senatore Marcello dell’Utri e al sottosegretario Nicola Cosentino. Chi ha parlato in maniera chiara di gruppi separati alla Camera e al Senato è Carmelo Briguglio, altro fedelissimo di Fini, che ha elencato in maniera chiara e sintetica le condizioni dei dissidenti: assunzione di un codice etico e democrazia interna al partito. Sulla possibilità dell’espulsione dei finiani dal Pdl, lui non ha dubbi: “Ci sarebbero conseguenze per la tenuta del governo e della maggioranza”.
Al di fuori del palazzo Fini può contare su un giornale, una fondazione e un think tank. Al Secolo d’Italia, diretto dalla fedelissima deputata Flavia Perina è affidato il compito di portare le posizioni del presidente della Camera in edicola, mentre a Internet ci pensa la webmagazine di Farefuturo. La fondazione è la punta più avanzata della dissidenza antiberlusconiana ed è guidata da Alessandro Campi, il professore che sta cercando di traghettare Fini nelle acque di una (per il momento) non ben definita nuova destra italiana, post-ideologica e alternativa al berlusconismo.
Infine c’è Generazione Italia, l’associazione che nel Pdl rappresenta il contraltare ai Promotori della libertà, l’organizzazione voluta dal premier e capitanata dalla ministra Michela Vittoria Brambilla.
Se qualcuno avesse bisogno di capire la linea di GI, basta farsi un giro sul loro sito, dove alla voce “la differenza fra Fini e Berlusconi”, l’attacco dell’articolo recita così: “E’ il senso di responsabilità la vera differenza tra lo statista e il politicante”.
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