“Non sono un idiota. Sono all’opposizione. Qui sto. E qui resto”. Un lapidario Pier Ferdinando Casini che attraversa un Transatlantico in piena fibrillazione senza scomporsi troppo sembra una rappresentazione perfetta degli umori e dell’atteggiamento della minoranza parlamentare, mentre si aspetta l’esito della battaglia finale nel Pdl. Lui, Casini, rivendica la sua posizione attendista. Anche perché il ruolo di ago della bilancia è quello che più gli piace interpretare. “Le larghe intese? Certo che le ho lanciate io, però in questo momento sono un’opzione altamente improbabile, visto che Berlusconi non ci starà mai”.
Finiani dentro, finiani fuori, gruppo autonomo, appoggio esterno, riappacificazione finale: mentre gli scenari possibili per l’esito della crisi nella maggioranza si moltiplicano, l’opposizione anche in questa situazione sembra giocare di pura rimessa. Emblematico Rutelli, che nel non saper bene che fare nel Pd ha fondato un nuovo partito Api, con il quale continua a galleggiare: “È tutto prematuro. Aspettiamo che decidano cosa fare. E poi vediamo. Quello che posso dire oggi è che può andare bene trovare convergenze sui singoli provvedimenti: e infatti in Senato votiamo la riforma dell’università. Ma di una linea generale, no, non ne abbiamo ancora parlato”.
A lanciare una proposta è stato Bersani, nel suo intervento alla Camera di mercoledì: “Siamo alle Colonne d’Ercole della vicenda berlusconiana – ha detto – e per uscire dalla situazione di impasse politica, occorre una fase di transizione, alla quale il Pd è disponibile a impegnarsi”.
Insomma, via libera al governo di transizione. Che avrebbe come principale obiettivo quello di arrivare al voto facendo una nuova legge elettorale, preferibilmente con il sistema proporzionale alla tedesca. Che poi significa la fine del bipolarismo. E dunque – come effetto collaterale – disinnescherebbe anche Nichi Vendola che per molti nel Pd è fumo negli occhi dopo la sua autocandidatura.
La linea di Bersani potrebbe andar bene, almeno sulla carta, a Fini, alla Lega e all’Udc. Più facile, però, a dirsi che a farsi, visto che già nel Pd in molti non sono d’accordo. Ovvero la minoranza veltroniana, che spingerebbe per andare a votare subito: il che potrebbe persino portare a una spaccatura nel partito.
Ma se nei Democratici ancora una volta il dibattito interno sembra più pressante di quello esterno, ieri è la giornata in cui tutti stanno un po’ protetti. E nessuno si espone a smentire o appoggiare il segretario. Se non in battuta, come Nicola Latorre, che appena fuori da Montecitorio si accompagna a Sergio Chiamparino: “Transizione? Ma no, a votare, dobbiamo andare a votare”. E Giuseppe Fioroni che in attesa di notizie appare piuttosto agitato: “È prematuro, troppo prematuro cercare strategie ora. Dobbiamo aspettare prima di vedere che fanno loro”. Non si sbilancia nemmeno in serata Franceschini, quando arrivano le notizie del deferimento ai probiviri dei finiani: “Sembrava non potesse accadere niente visto i numeri che hanno ed invece la maggioranza è esplosa. Staremo a vedere ma ci aspetta un autunno molto movimentato che noi dobbiamo movimentare ancora di più”.
E Bersani coglie al volo le notizie della rottura conclamata nel Pdl, brindando “a un nuovo governo” in occasione del saluto finale prima della pausa estiva. Adesso, bisognerà capire quale.
Assolutamente contrario a ogni forma di accordo con la maggioranza Antonio Di Pietro, che spiega: “Quando ho invitato Bersani e Fini a metterci insieme per la legalità, non stavo parlando di una nuova coalizione. A Fini volevo dire e dico ancora: mettiamoci insieme per far cadere Berlusconi. Ma io governi di transizione non ne faccio. E se si andrà alle elezioni, Fini si presenterà con il centrodestra e io con il centrosinistra”.
dal Fatto Quotidiano del 30/07/2010