La storia del "caso Pordenone": un campo da mesi sospeso tra la normativa comunitaria e le leggi italiane sugli organismi geneticamente modificati
Gli ambientalisti ne sono ormai sicuri: in Friuli Venezia Giulia si è verificata la prima contaminazione da ogm in Italia. L’allarme arriva dai campi di Fanna e Vivaro (Pordenone) dove sono arrivate a fioritura sementi di mais geneticamente modificate. Le associazioni anti-ogm sono da tempo sul piede di guerra perché il Tribunale, dopo aver disposto il sequestro, non prende posizione. Intanto le piante crescevano. Così questa mattina gli attivisti di Greenpeace sono arrivati a Vivaro e hanno tagliato e isolato le parti superiori delle piante di mais transgenico.
“Greenpeace ha scoperto in pochi giorni quello che le autorità avrebbero dovuto dire da tempo – denuncia Federica Ferrario, responsabile della campagna Ogm di Greenpeace – rivelando la fonte della contaminazione transgenica. Siamo di fronte a un atto assolutamente irresponsabile oltre che illegale”. E aggiunge che ”il mais era già completamente fiorito e da giorni sta disseminando il proprio polline sui campi adiacenti e su una vasta area, trasportato dal vento e dagli insetti”. I campi di Fanna e Vivaro sono stati seminati con MON810, un mais ogm brevettato dalla statunitense Monsanto.
Per l’associazione ambientalista i campi ogm in Friuli violano il Decreto Legislativo 24 aprile 2001 (n. 212) che prevede il rilascio di una specifica autorizzazione per la loro semina e il Decreto firmato lo scorso aprile dai Ministri di agricoltura, salute e ambiente, che vieta espressamente di coltivare mais MON810 in Friuli. Ma la contesa è molto più ampia: Ministero dell’agricoltura contro decisione del Consiglio di Stato e associazioni che si appellano al decreto del 2001. Perché a Pordenone il movimento pro coltura transgenica è così forte che si sono costituiti in un’associazione, Futuragra, che riunisce 500 proprietari terrieri.
Silvano Dalla Libera, come proprietario del campo di Vivaro e vice presidente della onlus ha portato avanti la sua battaglia fino alla sentenza del consiglio di Stato. “In Italia il mais ogm può essere coltivato”, ha stabilito il 19 gennaio il più alto organo della giustizia amministrativa precisando che “le leggi regionali che vietano l’impiego di ogm in agricoltura sono in contrasto con il diritto comunitario”. Per la Commissione europea, infatti, la coltivazione di alcune sementi è lecita. Periodicamente viene approvata una lista di quelle consentite: comprese le ogm. Ma solo dopo un lungo iter durato 15 anni (e 70 milioni di euro) per progetti di ricerca dedicati esclusivamente all’analisi dei rischi. Per Dalla Libera gli ogm “sono prodotti sani, coltivati in un ambiente sicuro ed economicamente vantaggiosi per gli agricoltori”. Perché le sementi transgeniche hanno una produttività maggiore rispetto a quelle tradizionali e si evita l’uso abbondante di pesticidi. Ma i rischi per la salute degli uomini sono tutti da verificare.
A sposare la linea anti-ogm c’è anche Luca Zaia, che da ministro dell’Agricoltura, dopo la sentenza del Consiglio di stato ha bloccato la semina di mais ogm nei 25 ettari di terreno di Dalla Libera, nonostante il parere favorevole del Consiglio di Stato. Solo il prossimo ottobre il Tar del Lazio si pronuncerà per decidere la definitiva autorizzazione. Intanto però, sempre a Pordenone, anche l’agricoltore Giorgio Fidenato, segretario di Futuragra, ha seminato mais nel suo campo di Fanna. E’ contro di loro che si è scatenata l’ultima battaglia a colpi di analisi e sequestri. “Nel mio campo – spiega Fidenato- ho piantato mais che rientra del catalogo delle varietà seminabili della Ue, e dentro ci sono ogm e non”. E mentre la Procura prendeva tempo, sono arrivati i risultati delle analisi di Greenpeace: piante transegeniche. Piante e ortaggi che, secondo Fidenato, potrebbero rifornire il mercato degli italiani favorevoli agli ogm: quasi 18 milioni di consumatori.