Il lamento di un popolo contro la morsa del silenzio
Camminare in silenzio per le strade de L’Aquila, quasi 200 persone venute da fuori, un soldato, due vigili urbani che ogni tanto si dispongono come per tenerti lontano dal rischio di un crollo, e il sindaco, davanti. Indica ma non deve spiegare. Camminare indossando il casco bianco con la scritta “visitatore”, che identifica il nuovo venuto. Ci sono caschi gialli qua e là, una decina. Ogni tanto qualcuno di loro si affianca, indica la porta socchiusa ma intatta di una casa colma di macerie (calcinacci, coperte, indumenti, pezzi di mobili, resti di un bagno, compatti come in una scultura sperimentale) e sottovoce ti dice: questa è casa mia. Lo dice al presente. I cani, all’inizio, ci stavano accanto, ai due lati. Hanno il collare sporco, incollato al pelo, il collare di cani che avevano una casa e un padrone. Adesso sono randagi. Conoscono i luoghi e gli odori, perciò sono miti e stanno il più vicino possibile agli esseri umani.
Ma riconosci i randagi perché non chiedono, non stabiliscono alcun rapporto, si muovono a testa bassa e guardano, cauti, da sotto. Le strade de L’Aquila sono trincee che si fanno più strette. E da quelle trincee si diramano vicoli invalicabili. Vedi i resti di facciate bellissime, ma spaccate nei punti in cui si forma il sostegno dell’edificio. A mano a mano che i passaggi si fanno arrischiati, i cani si premono contro gli umani per non perdere il contatto, però non mendicano. Sanno con sicurezza che questo è un disastro e guardano in basso. C’è uno scambio di poche frasi, quasi senza voce nel corteo di caschi bianchi (“visitatore”) che va avanti fra le macerie. Nessuno dei visitatori si aspettava una distruzione così vasta e così intatta. Pietre levigate dai secoli, di un colore quasi rosa, cadute dall’alto, sono state accostate con ordine ai lati dei sentieri di polvere come tante nature morte.
Distese intatte di distruzione
Lo ha fatto il popolo della carriole, cittadini che prima sono stati cacciati come intrusi o ladri di tombe, e poi hanno sfondato e hanno vinto. Contro chi? Contro soldati, polizia, Protezione civile, che pure erano qui per prestare aiuto. Continui a camminare in un paesaggio di pietre che non finisce. Per un momento resti indietro, da solo, e ti rendi conto del silenzio.
I silenzio de L’Aquila lo senti all’improvviso. È un silenzio vuoto, fermo, che riguarda lo spazio e il tempo. Un silenzio che non conoscevo.
Ti guardi intorno. Vedi la distesa intatta di distruzione. Ti rendi conto che, per uno strano effetto della pioggia, del sole, dell’aria, il paesaggio di macerie si indurisce, si radica nella terra, si trasforma in un “per sempre” come Pompei o Ercolano. In questa visita inaspettata, gli abitanti espropriati dalla violenza fisica del terremoto, prima storditi, poi abbandonati, si muovono come le sole guide autorizzate delle macerie. Contro ciò che ti hanno fatto credere giornali e telegiornali, le macerie sono tutto, la distruzione ha una forza che non è stata toccata. Meno che mai dai nuovi villaggi, dalle nuove casette dotate di Tv ma prive di ogni struttura sociale (ambulatorio, scuola, farmacia, bar). Sono altrove, sono raggiungibili – anziani o no – solo con mezzi propri. Le macerie sono L’Aquila. L’Aquila è solo macerie.
Sulle macerie adesso arrivano le cartelle delle tasse. E i mutui delle macerie sono tornate a scadenza. Sono tornati anche i cittadini che erano stati sistemati negli alberghi della costa a spese dello Stato. Ora c’è la crisi, basta spese, basta albergo. Le case dei nuovi villaggi ormai sono occupate, dopo la consegna con cerimonia. D’ora in poi non si dice più “protezione civile”. Si dice destino. Chi ha avuto ha avuto.
Il silenzio, qui, è come l’acqua di una inondazione: si espande, penetra, occupa tutto il tempo e tutto lo spazio che vedi intorno, bellissimo dopo la pioggia. Per questo all’improvviso, con passione e furore, la gente grida. Lo fa nel tendone che è l’unico luogo di incontro, l’unico spazio di assemblea pubblica, fra l’accampamento dei vigili del fuoco e l’unico bar aperto.
Un anno e tre mesi di eventi falsati
Chi grida? I cittadini, decisi a rompere il silenzio, decisi ad occuparlo, decisi a far tornare la vita lungo le trincee e i vicoli bloccati della natura morta che continua a restare L’Aquila. Ma stanno gridando anche contro l’altro silenzio, quello che – con bravura – è stato imposto a tutto il Paese facendo credere (con tutta la forza del conflitto di interessi, capace di bloccare tutte le fonti di notizie vere): “L’Aquila? Problema risolto. Niente da denunciare, se mai si deve celebrare l’intervento veloce e ringraziare il governo”. A chi gridavano l’altro giorno (27 luglio) i cittadini de L’Aquila sotto il tendone, nel mezzo della loro piazza vuota? Gridavano la storia incredibile di questa città dal terremoto in avanti, un anno e 3 mesi di eventi tragici e falsati. Li gridavano a 140 deputati del Pd, che avevano deciso di venire a L’Aquila per lavori interrotti in Parlamento a causa del voto di fiducia imposto dal governo sulla legge Finanziaria. Ho detto “gridavano” perché le voci erano alte. Ma erano limpide e logiche. Raccontavano con passione a chi ascoltava, i deputati del Pd.
Abitanti declassati ad audience
È una bella scossa, per gente eletta con un progetto politico, l’incontro con un’assemblea di persone vere che hanno le facce della realtà e rendono conto di ciò che non è stato mai fatto, di ciò non è stato mai detto. Soprattutto la morsa del silenzio, dell’abbandono, della Protezione civile che è diventata guardia civile, un organo separato che fa, bene o male, ma per conto suo, con i suoi editti, i suoi divieti, le sue regole mai spiegate, sempre imposte, tutto con il sigillo non discutibile, non partecipabile, dell’emergenza. Dentro il recinto invalicabile, le macerie da non toccare, la pianificazione arbitraria, la costruzione altrove, frutto di un progetto mai discusso: i cittadini fuori, resi passivi e in attesa, che possono ricevere “regali” (così dice il benefattore), ma non possono avere diritti. E fuori gli abitanti senza casa, declassati ad audience per un enorme spettacolo, che a momenti diventa una specie di Expo mondiale, con Obama e George Clooney.
Sulla natura morta de L’Aquila viene gettato il mega-show del G8 in cui tutto è immenso, pesante, ingombrante, costoso. E non riguarda gli aquilani. Riguarda il benefattore-costruttore-presidente Silvio Berlusconi. Berlusconi ha acceso tutte le luci, occupato tutto lo spazio, ha riservato ogni ruolo per sé, dalla vittima al santo, dal governante al salvatore, dallo statista al piazzista che offre – chiavi in mano – le abitazioni modello ai senza casa secondo una lista arbitraria. Lo scorta, nella nuova veste di polizia edilizia e mediatica, il suo alter ego della Protezione civile, Bertolaso, che apre strade e chiude strade, nega e concede secondo una sua classifica di ruoli da esibire nell’evento spettacolo.
Tutto ciò gli aquilani della tenda in piazza hanno raccontato agli insoliti visitatori (uno solo, Giovanni Lolli, il loro deputato che non si è allontanato di un passo, che è stato il legame e il tramite contro il rifiuto giustamente sdegnato di questa gente per la politica) non come lamento, ma come prova dell’identità riconquistata, strappata a quel grande imitatore di se stesso che Sabina Guzzanti ci ha fatto vedere nel suo film.
Qualcosa è accaduto in quella tenda
E devi per forza incontrare il sindaco Cialente. È solo il sindaco di una città, e persino di un municipio, che non ci sono più. Ma non ha mai ceduto il ruolo né a Bertolaso, né a Berlusconi.
Qualcosa è accaduto nella gita a L’Aquila. Lo si è capito dal parlare irruente, per una volta appassionato di Bersani in quella tenda. È stato lo choc di incontrare veri cittadini con un vero linguaggio e veri, tremendi problemi sul luogo del disastro, invece di trattare in lingua politica con altri politici. È stata una respirazione bocca a bocca che ha fatto risvegliare e sussultare la parte presente del Pd. Il beneficio che i deputati ne hanno tratto è molto più grande del più volenteroso contributo di presenza e partecipazione che hanno voluto dare, con una decisione insolita e fortunata. Lo prova la reazione immediata e persino affannata di Berlusconi. La sera del 29 luglio ha annunciato: “Io torno a L’Aquila, torno con Bertolaso”. Quando avrà notizie più precise non credo che lo farà.
Dal Fatto Quotidiano del 01/08/2010